Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

Baudelaire, l'invito al viaggio Et c'est depuis ce temps que, pareil aux prophètes J'aime si tendrement le àésert et la mer. Tra i frammenti che in Zentralpark Benjamin dedica a Baudelaire ce n'è uno che dice: «Pensare per lui vuol dire: alzare le vele» (Denken heisst bei ihm: Segel Setzen). L'appunto, o già aforisma, porta l'antica metafora dell'arrischiarsi nelle regioni del pensiero, e nel contempo affida il pensiero ai balzi e all'ebbrezza del vento. Col soccorso di un noto incipit dantesco si può scorgere nell'immagine l'annuncio di nuove peregrinazioni che la navicella dell'ingegno s'appresta a traversare. Il sublime baudelairiano è infatti l'avventura nel mare aperto di una lingua per la quale l'eccesso si fa stile, senza dissiparsi, l'eloquenza dell'alessandrino si tiene in equilibrio tra dissonanza e canto, le passioni sanno che il ritmo le può governare meglio di come possa fare la ragione. Da questa baudelairiana traversata del nuovo sublime muovono, tra tanti, sia Rimbaud che Mallarmé: il primo per disancorare le ragioni della poesia dal possibile e certo affidandole ai cieli in fiamme dell'azzardo, il secondo per volgersi al porto di una forma che è insieme idea e musica, ombra di una perfezione che è oltre la lingua. Ma se dietro quella vela con la quale Benjamin designa il pensiero baudelairiano seguissimo non le volute di una 110

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