Il piccolo Hans - anno XVI - n. 62 - estate 1989

dell'Oriente, dell'«orientalizzazione». La nozione di distanza aiuta abbastanza a rilevare la peculiarità dell'esperienza di Goethe in proposito-in una parola: il Divan - e ciò che è venuto accumulandosi dopo (anche .nel frattempo) nelle letterature occidentali per effetto di tale tentazione. Potrebbe bastare per il paragone, alla scadenza di un decennio (1829), Les Orientales: da «La captive» ai «Djinns». Qualcosa di decisivo è passato fra Suleika e Sara la baigneuse. «Si on lui demandai ce qu'il a voulu faire ici, il dira que c'est la mosquée». Se per Hugo (ma Hugo qui vale quanto nome di riferimento) l'Oriente è una distanza, si tratta, a ben guardare, di una distanza da immaginario - immaginario da trovarobato. La distanza su cui lavora Goethe la si potrebbe definire simbolica. È una distanza da va e vieni di rocchetto: allontanamento da ciò che si frantuma, verso l'unità, e immediatamente movimento contrario, di ritorno, che solo può renderla raffigurabile rimettendola nel fondo del binocolo. La qualità quotidiana, familiare di ciò che compare nel Divan, perfino dell'armamentario deliziosamente coloristico di coppe, cammelli, oasi, huri, sta nel continuare a preservare il seme, anche minimo ma insopprimibile, della distanza - come accade per le figure della vita diurna riapparse in sogno. «Patriarchenluft zu kosten!», assaporare l'aria dei Patriarchi, non è appena un bel verso ma il modo più conciso per indicare il lavoro di Goethe nel Divan, lo scambio respiratorio fra nuovo e antico, oggetto e simbolo. Per quanto ne sappia, una sola volta Freud convoca sulla sua pagina il Divan, precisamente in una ampia citazione dell'Introduzione alla psicoanalisi (XXVI lezione), per illustrare il meccanismo fra narcisismo, egoismo, relazione d'oggetto e innamoramento: «esposizione poetica» di un «contrasto economico». Conoscendo il posto 10

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