Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

della terapia medica, ma come una terapia del tutto particolare che non si serviva di mezzi fisici, e che per l'uso esclusivo della parola veniva da taluno addirittura accostata alla magia. Parallelamente le malattie così trattate ben poca affinità avevano con quelle del corpo, tanto da dubitare che potessero appunto essere definite con lo stesso termine di malattia; di esse soffrivano degli strani malati che, a differenza degli altri, potevano mettere in atto tutta una serie di resistenze per disturbare o impedire il processo terapeutico. Terapia e conoscenza Poiché sembrava che la presa di coscienza delle ragioni profonde e oscure del malessere psichico fosse elemento essenziale e irrinunciabile del trattamento psicoanalitico, diveniva irrilevante il preoccuparsi, come avevano fatto finallora i medici della psiche, di cancellare i sintomi; e i sintomi stessi ora potevano essere considerati originali produzioni del paziente più che dirette manifestazioni del male, segnali volti a sollecitare attenzione, comprensione, solidarietà e amore, messaggi da decifrare, tentativi di autoterapia. Se dunque la ricerca di quelle motivazioni profonde, la conoscenza dell'inconscio, l'estensione del sapere psicologico potevano apparire il fine del trattamento, ci si poteva chiedere se la psicoanalisi fosse terapia o conoscenza: un dilemma o un malinteso sul quale s'è dibattuto a npn finire e che fu già argomento di un congresso nazionale per il cinquantenario della Società Psicoanalitica Italiana (Roma, 1982): dibattito senz'altro proficuo ma che, a parer mio, non poteva portare che alle stesse conclusioni a cui era giunto Freud quando, nello stesso scritto in cui prendeva la difesa di Reik, concludeva: «nella psicoanalisi è esistito fin dall'inizio un legame molto stretto fra terapia e ricerca, dalla conoscenza 50

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