Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

II piccolo Hans r.ivista di analisi materialistica 6.1 primavera 1989 Sergio Pinzi 5 Deus in rebus Giancarlo Consonni 7 Restaurare l 'ospital ità del mondo Sergio Pinzi 11 Il restauro delle teorie sessuali infantili Glauco Carloni 47 Dal restauro medicale alla ri-creazione psicoanalitica Jorge Canestri 64 Restauro, Riconciliazione, Riparazione Italo Viola 80 Il testo del restauro Fabio Stok 105 Le tentazioni dell'ecdotica Alessandro Conti 129 Il tempo pittore Giordano Montecchi 149 I miraggi del restauro. Filologia e musica antica Giuseppe Cambiano 174 La cosmetica dei classici NOTES MAGICO Alba Marino 196 Attraverso le immagini MINUTE Aldo Colonetti 205 Il restauro tra antico e moderno, tra vero e falso

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Contardo Calligaris, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Giuseppe Cambiano, forge Canestri, Glauco Carloni, Aldo Colonetti, Giancarlo Consonni, Alessandro Conti, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Giordano Montecchi, Alba Morino, Mario Spinella, Fabio Stok, Italo Viola. redazione: Via Nino Bixio 30, 20129 Milano, tel. (02) 2043941 abbonamento annuo 1988 (4 fascicoli): lire 35.000, estero lire 52.500 e.e. postale 33235201 o assegno bancario intestato a Media Presse, Via Nino Bixio 30, 20129 Milano Registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano Fotocomposizione: News, via Nino Bixio 6, Milano Stampa: Tipolitografia Meina, Carugate (Milano)

Il restauro e l'anima del mondo Deus in rebus A un punto inoltrato dell'analisi degli adulti si affaccia nei sogni la rievocazione di un'età che può essere collocata tra i 12 e i 13 anni. Proprio questa formulazione dmprecisa» sta a indicare, nel trattino tra i due termini temporali (J2 -13 anni), l'incidenza di una soglia che è quella tra la latenza e la pubertà. Ma ciò che emerge in questi sogni è un disturbo: c'è stato un disturbo nella latenza. Tradisce questo disturbo una sorta di errore di pensiero, un falso convincimento. Per esempio di avere eiacula. to a tre anni, o di aver sofferto di erezioni incontenibili a otto. Queste anticipazioni sono il presentimento del carattere indiscutibile, quasi della religione, del coito nella mentalità dell'adulto. Coito sive natura. La predatazione della maturità genitale annulla quella pausa, quell'intervallo tra il culmine della «organizzazione genitale infantile» e quello del «secondo inizio» della vita sessuale umana, in cui awiene, per interposizione delle teorie sessuali e del romanzo familiare che ne è l'erede, la differenziazione e la distanziazione dal culmine del godimento paterno cui quello del bambino e dell'adolescente si rapporta e si accosta fino a confondervisi. Il « terribile» della fase detta del secondo culmine è che niente di fisico, di organico, di naturale, manca a quel pun5

to affinché l'oggetto incestuoso del desiderio possa essere eguagliato e raggiunto. Ebbene, quella certa «precocità» sessuale che confonde il proprio con l'altrui godimento nella fase di latenza, previene il terribile in questione con la continuità di una «ontologia» sessuale che attraversa, senza fratture, gli individui e le generazioni. Un'idea di normalità sessuale che partecipa della «ragionevolezza dell'incestuoso» accompagna un atteggiamento che, respingendo da sé la stessa ipotesi di fobia, pone nell'altro (nell'altra) l'isteria (fino alla follia) di ogni dilazione, di ogni remora alla necessità che il coitò continui senza interruzioni ad avvenire. Da qui scaturisce la sorprendente giustificazione «metafisica» che mariti e mogli non tolgono alla prostituzione. Ma gli «errori di pensiero» circa la datazione dell'approntamento del dispositivo sessuale coprono una ferita. Il loro valore di certezza è posto a palliativo di un crollo di pensiero, di un venir meno delle stesse assise del mondo. Donde proviene il sintomo di inibizione mentale, un difetto di pensiero, che va di pari passo con la non problematicità e la non fobia dei rapporti. Qualcosa, di solito l'influsso di un sapere secondario, più artigianale che artistico, del padre, ha determinato, più che una vera e propria forma di precocità sessuale, la semplice revoca in dubbio, e infine, l'obliterazione e l'incomprensibilità delle teorie sessuali infantili. A questa revoca delle teorie sessuali infantili si devono i due estremi dell'esistenza umana: la follia che manda a effetto lo sconvolgimento naturale che Darwin ha mostrato inerente al godimento del padre (il godimento altera e stravolge il volto della natura) e la normalità che dal -flusso impersonale e consumante di quel godimento (capitalismo? amore primario?) deriva i rivoli di una fruizione imitativa e acefala. Le teorie sessuali infantili affermano che tutti gli esseri viventi hanno un pene (teoria «fobica» del piccolo Hans) e che pertanto la vagina non esiste. Sostengono inoltre che la nascita avviene attraverso l'ano e che l'atto sessua6

le è simile a una baruffa, a una violenta lite. Ad esse Freud collega un punto di vista, una prospettiva extraterrestre («immaginiamo di guardare ai problemi del sesso da un altro pianeta...») e... ogni possibilità di pensiero: la prospettiva extraterrestre indicata è infatti quella di Giordano Bruno e dei più audaci tentativi dell'umanità di conoscere, come . nel rinascimento, i misteri dell'universo. Mi pongo dunque da questa angolatura suggerita da Freud per trarre dai sogni sui 12-13 anni e da un approfondimento del pensiero di Giordano Bruno, l'ipotesi che la cura psicoanalitica debba affrontare la sfida di una riparazione, un restauro delle teorie sessuali infantili. Allora è come se in analisi si trattasse di ripristinare l'errore contro la verità. Ed è toccante, rispetto all'atmosfera brutale in cui è immersa la vita di molti analizzanti, l'aspirazione all'innocenza che traspare invece dai loro sogni. Sergio Pinzi Restaurare l'ospitalità del mondo Tra i campi in cui in questi anni si è registrato un sicuro progresso vi è sicuramente quello delle tecniche di restauro. Con sempre più frequenza, edifici, sculture e affreschi ridotti in condizioni disastrose dall'inquinamento atmosferico e ambientale sono recuperati al patrimonio culturale dell'umanità grazie alle accresciute competenze dei tecnici e ali'intervento benemerito di munifici sponsor. Una volta effettuato il miracoloso recupero sorge però il dubbio: fino a quando? Tra quanti anni si dovranno ripetere interventi di pronto soccorso su opere oggi dichiarate fuori 7

pericolo? Per le opere che, in occasione del restauro, sono state rimosse dalla loro sede, si presenta addirittura il dilemma se riportarle nei luoghi per cui sono state concepite o riporle al sicuro nel chiuso di un museo; e il pessimismo fa propendere in generale per questa seconda strada. Se per le opere difficilmente spostabili il problema non si pone, sono state però avanzate in alcuni casi proposte per coperture protettive, come è accaduto di recente per la Colonna Traiana appena restaurata, o come fu proposto qualche anno fa per il Partenone. La prima osservazione che viene spontanea è fin owia: questo elenco di salvataggi sarebbe veramente rassicurante se tra le ((cose» restaurate figurassero anche l'aria, l'acqua, la terra e la luce. Ma si sa, una simile prospettiva, che pure è oggetto di importanti battaglie civili, appartiene al regno del!'utopia. La seconda osservazione è in realtà un interrogativo: quali testimonianze di cultura materiale sono ritenute oggi depositarie di valori legati alla memoria e quindi degne di essere salvate come punti di riferimento per lo stesso futuro? Z:epoca in cui viviamo sembra aver dato una risposta in una precisa direzione: le testimonianze da salvaguardare sono sostanzialmente degli oggetti. Oggetti non tanto nel senso di cose mobili ma di cose in sé, si tratti di affreschi, di sculture, di edifici o di scorci di paesaggio. Le ragioni che spingono in questa direzione possono essere ricondotte a due ordini di fattori. Il primo è l'aspirazione al possesso. Per essere posseduta una cosa deve essere ritagliabile, separabile dal mondo. Il mondo stesso, anzi, è ridotto, nei modi dell'esperienza e nell'immaginario, a un insieme di oggetti separabili fisicamente o comunque attraverso il possesso. Gli stessi paesaggi, siano essi naturali o costruiti dal!'uomo, nei pieghevoli delle agenzie di viaggio come nel!'esperienza del turista, tendono ad essere ridotti a oggetti di consumo. 8

Il secondo ordine di fattori è costituito dal fatto che il rapporto con le cose è sempre più mediato dalla tecnologia. Questa modalità di rapporto limita il contatto corporeo con la fisicità dei luoghi e contribuisce ad allentare il senso di appartenenza dell'uomo al mondo. I.:aspirazione al possesso e la mediazione dell'elemento tecnologico si rifiettono nel modo in cui ogni cosa è in relazione con le altre. Le cose sono sempre meno capaci di dar vita a spazi, a luoghi, a un «mondo». Il disordine attuale dell'ambiente fisico si caratterizza come caduta dell' ordo coexistendi (Leibniz). Le cose non si dispongono in risposta a una tensione interiore, esprimono solo una inquietante, disperata, quasi urlata individualità. È un disporsi che non conosce misura e non dà vita a un ordine narrativo o teatrale, come è invece individuabile nella città storica. Gli oggetti architettonici non sono più tenuti insieme da una propèrlsione al dialogo, ma solo dalle reti tecnologiche dei servizi primari (acqua, luce, gas) e dalle reti dei trasporti o delle comunicazioni. Alla tecnologia è delegato il compito di legare tra loro le cose del mondo. Le cose sono diventate incapaci di istituire un rapporto totale con l'aperto, di partecipare al cosmo (nel senso che il termine assume nell'etimo greco: ordine, e universo in quanto ordine); non sono attraversate, animate dalla consapevolezza di essere parte di un tutto. È per questo, non solo per la corrosività dell'aria, che i monumenti sono spaesati e trovano la loro nuova collocazione sempre più nel chiuso dei musei. Poiché anche la memoria è diventata memoria di oggetti, il nuovo ordine ideale dei monumenti-oggetto è quello del deposito museale, e non quello del coesistere nell'unità del tutto; e nemmeno quello del coesistere nell'unità dialogante dei singoli luoghi, da cui questi traggono i loro caratteri sia spaziali che temporali. Se la morte fisica minaccia l'esistenza delle cose in sé, una preoccupazione non minore dovrebbe destare la caduta delle relazioni tra le cose. Questa caduta produce una morte 9

ancora più crudele perché sottrae alle cose la loro capacità di creare dei mondi, e il mondo. Se il restauro non si occupa di questa seconda morte, il recupero awiene solo nell'ottica di awiare le cose sulla strada della collocazione e dell'ordinamento museale. Occuparsi della seconda morte significa operare il tentativo di ridare alle cose la capacità di creare spazi, o meglio situazioni spazio-temporali. Spazi e situazioni la cui natura è l'opposto di quella degli oggetti, in quanto in essi si realizza il rovesciamento del rapporto di possesso e di sradicamento in un rapporto di coesistenza finalizzato a creare l'ospitalità dei luoghi e l'ospitalità del mondo. Giancarlo Consonni 10

Chi salirà per me, madonna, in cielo A riportarne il mio perduto ingegno? Il restauro delle teorie sessuali infantili Tre sono i concetti di cui mi servirò in questo lavoro. Il primo è freudiano e riguarda le teorie sessuali infantili, teorie errate intorno al possesso del pene da parte sia dell'uomo che della donna, alla nascita attraverso l'ano e infine alla concezione sadistica del coito. Il secondo è quello che abbiamo chiamato luogo della fobia: prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico, situabile intorno all'età di quattro anni, l'abbiamo rilevata nell'analisi dei bambini e ritrovata in quella degli adulti. All'età di quattro anni ha rappresentato la risposta all'angoscia suscitata dalla questione dell'origine sotto forma di una mappa ritagliata in una città, in una strada, in una casa; vi si situa la differenza tra animato e inanimato, il rapporto all'animale sotto forma di fobia e di disegno, l'uso della tecnica come soluzione anti-angoscia, allontanamento dal precedente fondo psicotico e strada aperta verso le costruzioni di difesa che caratterizzano poi lo sviluppo di una nevrosi. Intorno al luogo della fobia e in rapporto ad esso avevano trovato definizione nevrosi, perversione, psicosi. Il terzo concetto, godimento del padre, ci è servito per individuare le modalità della psicosi: lo psicotico è figlio del godimento del padre. Egli cerca a suo mo11

do di porre ordine al disordine del mondo, che lo spargimento di milioni di semi ingenera. Sogna di spiare la madre mentre partorisce. Il padre è seduto accanto al letto e parla lentamente come se dalle sue parole potesse dipendere la nascita del bambino. Ed ecco che il bambino esce ed è di fronte alla madre, ancora legato dal cordone ombelicale. Ci si aspetta di sentire il suo pianto. Invece il bambino improvvisamente ride. L'analizzante lo prende in mano e vede che sulla fronte c'è un segno, una specie di cicatrice. Le dicono che è stato il forcipe e che forse ci saranno dei danni al cervello. L'analizzante è ora il bambino che cerca di imparare a fare qualche cosa bene. È davanti alla tastiera del pianoforte e la madre le dice di eseguire una scala. Lei riesce a farla ma poi guardando lo spartito che ha davanti sente che non potrà mai capire che un segno è un sol abbastanza rapidamente per poter suonare più note concatenate le une alle altre. Poi è in piedi, indossa una gonna lunga e la deve dipingere, ma la madre le dice: devi anche cucirla. In questo sogno che si colloca in un'analisi che ha posto in evidenza già le implicazioni e le complicanze di quello che abbiamo chiamato luogo della fobia appare ancora una volta la contiguità tra una tecnica e in particolare una tecnica artistica e la stessa possibilità di pensare. Il sol irriproducibile che non si concatena con le altre note è quella che aggancia i colori della pittura al disegno del sole nel padre. Come lo spartito rimanda a una nascita regolata dalla voce paterna. Figlia unica, l'analizzante sogna dunque di ricondursi al luogo della propria origine e qui, di correggere la natura. Padre e madre saranno congiunti solo dalla voce del padre, la stessa che avvolge e culla dolcemente anche la figlia che la riascolta nel pensiero. L'incantesimo della voce paterna sembra favorire il miracolo del restauro di 12

antiche ferite, di una in particolare di cui rimane la cicatrice e il dolore. Questa ferita è la ferita della vagina: «guardando lo spartito che ha davanti». Madre e figlia sono dotate dello stesso pene, per tutte e due il bambino che ride, posto di faccia e unito al corpo della partoriente, con un «taglio in testa» come definisce l'analizzante la cicatrice da forcipe. Si tratta di apprendere a masturbarsi, la tecnica di un piacere sol-itario, e su questo punto scivola l'abilità dell'analizzante che si ritrova, rifemminilizzata, con una gonna da dipingere. La tecnica della pittura rivela una facoltà, una vocazione moderatrice, rispetto alla musica che in questo sogno opera invece su scale la cui progressione, il cui ritmo, suscita la rappresentazione del godimento estremo dell'orgasmo. La pittura vela e copre, tenta soluzioni più ingegnose che non scale che non si sa dove finiscano: viene suggerita una ricucitura che mira al cuore stesso di un intervento di restauro che ripristina gli intenti delle teorie sessuali: riverginare la madre, ricucire la vagina. Aporia che di un sogno iniziato ridendo fa un sogno d'angoscia e violenza, giacché con questa "operazione" l'analizzante, figlia unica dicevo, ipotizza il proprio annientamento. Un annientamento che un'improvvisa reminiscenza rivela perpetuarsi come rinuncia, nell'amore come nell'operare: ripetendo il racconto del sogno l'analizzante si accorge che il disegno della nota che aveva in mente e che chiamava sol era in realtà quello di un do. Col ritrovamento di questa nota, la prima della serie delle sette note, l'analizzante è però ri� condotta anche a un diverso problema di origine: il problema non più di come essere il fallo della madre, ma di come riuscire a concepire una forma di dono che non sia una perdita. La nota do, così ben nascosta dietro la rappresentazione del sogno, ne costituisce il segreto e il fondo: è ciò che resta dopo che il sogno è stato sognato e raccontato, dopo che un restauro è stato effettuato. L'ignoranza della vagi13

na, la teoria del pene come contrassegno del vivente, sono stati ripristinati. Qui bisognerebbe fermarsi. Ma la difficoltà di ogni restauro sta appunto nel fermarsi. L'immagine iniziale del dondolo formato dalla madre e dal bambino che unito a lei le sta di &-onte introduce il bilico cui porta la questione del restauro tra la manipolazione tecnica posta di continuo di &-onte al problema del confine e del limite, e lo sfondamento verso l'origine, il ritorno all'inanimato, ma l'inanimato vivente, minaccioso dei semi innumerevoli e dispersi del godimento del padre. Gratta gratta, in ogni restauro c'è la tentazione, come nella potatura di un giardino, di andare avanti, fino alla distruzione, attraverso la forma, della vita stessa dell'albero. Il regalo cui la paziente riverginata si appresta è quello crudele e definitivo della vita cui l'amore per la madre la sospinge inducendola a penetrare nella propria origine con lo spermatozoo cui cede il suo io. La pittura in questo senso si rivela più smodata della musica. La musica traduce ed esegue ciò che è già scritto. La pittura disfa ciò che esiste e si spinge fin dentro l'origine: diversamente dallo spartito la gonna non è dipinta ma da dipingere, pagina bianca quindi e senza scale da ripercorrere obbligatoriamente. Ma la gonna da dipingere è anche la gonna da cucire: disfatta quindi, vicina al niente dei filati che la compongono. La pittura porta con sé, nella sua tecnica, una sorta di macchina di "smontaggio" che sarà il restauro a mettere in esecuzione stabilendo un legame amoroso, clandestino e infedele, con l'angoscia che al non artista interdice di usare i colori per dipingere. La tecnica, cui il bambino affida la propria custodia nel luogo della fobia, sconfina facilmente nell'angoscia. E l'angoscia da cui sovente il soggetto è preso davanti alla prospettiva di un semplice lavoretto artigianale assume a volte i caratteri intensi e sconvolgenti di una dissociazione psicotica, di una trascolorazione, di un avvelenamento cioè del mondo circostante. 14

Ad essere garante della sanità psichica non è infatti il possesso di una tecnica ma la mancanza di abilità in una tecnica. Ogni saperci fare è imparentato infatti al sapere secondario del perverso e attraverso di questo, come attraverso un ponte gettato sopra il periodo di latenza, al godimento terribile del padre. La precocità della sognatrice che spia la madre mentre "la" partorisce, si rovescia nel timore del contrario (imbecillità e non-nascita). La conoscenza innata, ab origine della vagina, cui si dovrebbe, per Melanie Klein, la curiosità intellettuale del bambino, stimolata poi da precoci spiegazioni sessuali, svela qui il suo legame con la spinta anticipatrice della madre, implacabile nell'educare (la paziente non ha mai sporcato fuori dal vasino) come nell'avviare la figlia su una scala di realizzazione incestuosa alla quale anche il ripiegamento sulla piccola tecnica del cucito, sapere secondario della madre, sembra sollecitare. Il segno sulla fronte della sognatrice è il segno doppio del genio e di una temuta lesione organica dovuta in realtà al forcipe di una dissennata forzatura, che ostentando l'esistenza di un canale vaginale, ha disturbato, insieme con le teorie sessuali infantili, il dispiegarsi di una eccezionale intelligenza. Consideriamo a questo proposito il caso di Benvenuto Cellini cui così mi riferivo nel Mistero di MisterMeister1 • Il padre di Benvenuto Cellini, ci dice la Vita, era un tecnico, un ingegnere, un meccanico che costruiva strumenti musicali, organi, clavicembali, viole, liuti, arpe e anche altri congegni meccanici, come «modi di gittar ponti e di costruire gualchiere», macchine mosse dall'acqua usate per sodare i panni. Ma più di tutto, e per questo accantonava il resto, ciò che lo interessava era il piffero. E il suo sogno era che il figlio divenisse un gran suonatore di flauto, il maggiore del mondo. Questo piffero, segna la lotta di Benvenuto con il padre, visto che «con tutto che l'età mia fosse tenerissima dove i piccoli bambini sogliono pigliar piacere di uno zufolino e 15

di simili trastulli, io ne avevo dispiacere inistimabile, e solo per ubbidire suonavo e cantavo». Dalla multiforme ed eccessiva abilità tecnica del padre, degenerata in un certo senso rispetto alla originaria professionalità ingegneristica, discende l'applicazione del figlio allo studio del flauto che, lungi dal diventare mai il possesso di un'arte, in seguito al disturbo arrecato alla latenza col sovrapporsi al pigliar piacere che i piccoli bambini fanno del loro zufolino di carne gettò l'ombra protratta, ritardata, di una latenza perversa pronta a tradirsi, col desiderio improvviso di suonare, di fronte alla meravigliosa bellezza di un fanciullo travestito. L'abilità paterna nel trovare «modi di gittar ponti» si è esercitata anche nel lungo ponte che al figlio ha fatto scavalcare l'avvallamento che la latenza interpone fra i due culmini della sessualità, quello dei quattro e quello dei dodici-tredici anni. E questo ha comportato per il Cellini di trovarsi -vièinissimo alla follia tratto quasi, come Ganimede, fuori dal carcere in cui era stato rinchiuso, e innalzato fin dentro la spera del sole che ha perduto i suoi raggi e si gonfia come per abbracciarlo. E anche per lui è nel pensiero della pittura che si ristabilisce come una distanza. «Il rilievo è il vero padre e la pittura è un dei suoi figlioli»; senonché non essendo la pittura fra i suoi mezzi è con il bilanciamento femminile della saliera di Vienna, in cui padre e madre dondolano l'uno di fronte all'altra, e con l'innalzamento, agli antipodi del rigonfiamento solare, del sole cavo della testa tagliata di Medusa, che egli riesce a ristabilire quella sorta di sospensione e di equilibrio che la spinta acceleratrice del padre aveva compromesso: equilibrio che, come vedremo, permette al soggetto in latenza di sostenere, in un «cuore bicorne», l'impronta del sigillo della «dupHce cima del Parnaso» alle cui viste si svolge la tragedia di Edipo2 • Così nella rinuncia, vissuta come impossibilità esterna, a fare della grande scultura, il Cellini lavora a intrattene16

re la follia che lo minaccia: nel lavoro di oreficeria e di cesello egli ripara, ristabilendo pieni e vuoti, rilievi e depressioni, il piccolo e ritrova nell'uso di un linguaggio zeppo di diminutivi e vezzeggiativi la funzione non penetrativa dello "zufolino" dei bambini. In modo analogo un giovane diagnosticato come schizofrenico inguaribile e pericoloso e sottoposto conseguentemente a rigidi controlli e oppressivi trattamenti dép6t, rivela nella sua storia ragioni di intelleggibilità affini a quelle che ci illuminano circa la personalità del Cellini. Anche qui colpisce qualcosa che fa da ponte su tutto il periodo della latenza: dai quattro ai dodici anni questo giovane ora trentenne, che ha un nome straniero e un cognome che al significante regionale unisce il nome completo di una città vicina alla sua (faccio un esempio, come se si chiamasse Igor Trevisan), è stato in cura per un eczema da infiniti medici e presso numerosi ospedali in diverse città. L'eczema colpì dapprima un piede e si estese poi a tutto il corpo, manifestando la tendenza ad apparire e sparire capricciosamente. Ebbene a che cosa risponde questo eczema che copre con precisione l'intero arco della latenza? Al padre, che impiegato alla Sip e prossimo al pensionamento spende da sempre metà del suo stipendio per l'educazione del figlio, Igor è unito da una passione comune, esplicita, manifesta, quella per la musica cui il genitore si dedica suonando la fisarmonica alle feste e per la quale egli ha rivelato fin da piccolo, quando traeva note, a dire della mamma, da ogni oggetto su cui battesse un bastoncino, una spiccata predisposizione coltivata in seguito con studi regolari fino al diploma di solfeggio. Con una singolare concomitanza contemporaneamente al diplqma di solfeggio, Igor conseguì il diploma di scuola interpreti. Questo sapere parallelo, la passione per le lingue perfezionata al liceo linguistico e applicata in numerosi viaggi all'estero, mette in evidenza una propensione a 17

"strumentalizzare" il mondo intero nel senso di trarre da ogni suolo da lui calcato, l'Inghilterra, Milano o l'Arabia Saudita, in cui soffrì di un'infezione al piede, i suoni di un linguaggio anche se non necessariamente quello musicale. Invisibile come ritiene di essere, egli "suona" anche le vie della sua città dove spaventc!- tutti per i pericoli che corre rimanendo e agitandosi precisamente in mezzo alla strada. Qualche anno fa rubò anche degli strumenti musicali e all'uscita dal carcere si ritrovò affetto da eczema questa volta alla mano. Dal piede dove si presentò la prima volta a quattro anni, l'eczema migra per tutto il corpo prefigurando il gusto dei vagabondaggi e si posa infine sulla mano. L'affezione dermatologica sottolinea nelle membra adatte a battere il tempo, il disegno della madre, da una parte. E dall'altra getta un ponte verso il "sapere secondario" del padre. Attraverso la mediazione delle lingue e dei viaggi l'eczema sembra corrispondere a una sorta di tatuaggio, una marchiatura sonora che, mentre ci ricorda il poema di John Donne sul corpo ammalato trasformato in una carta geografica, una mappa degli stretti e stretto tra i medici e Dio, tra la vita e la morte, trova il suo nesso organico con il secondo e più inquietante amore del padre, quello per i lavori di intaglio e di intarsio. Con quella sorta di felice intuito che sovente caratterizza l'apertura umana del personale cosiddetto paramedico, gli infermieri che me ne parlano usano toni a metà strada tra l'ammirazione e lo sbalordimento: c'è qualcosa di eccessivo nel silenzioso intreccio che ha artisticamente maculato, a opera del padre, tutti i mobili e il pavimento di casa. L'eczema può avere dunque questa funzione: di denunciare al mondo che la marcatura dell'intarsio paterno copre ogni superficie, imprimendo su tutti i corpi lo stemma di una copulazione infinita. A ciò il figlio ha tentato di reagire con un altro conato artistico, di cui gli infermieri deplorano che non abbia avuto un seguito: in quell'ossessionante tappeto ligneo che va dai pavimenti al soffitto, i 18

quadri sono del figlio. E per la terza volta, dopo la gonna dipinta e il Cellini, si affaccia la pittura come estrema ratio di un figlio minacciato nella sua stabilità mentale. In questa stessa luce, di un tentativo di riparare alla catastrofe del godimento paterno, generatore di un figlio nato morto un anno esatto prima di Vincent, possiamo leggere la vicenda pittorica di Van Gogh, nell'intervallo però tra l'assunzione di un ruolo di «seminatore della parola di Dio» e il riapparire, al momento della nascita di un figlio di suo fratello Theo, del motivo "seminale" nella figura di un «seminatore nei campi» che si fa incontro, per chiuderne i giorni, al pittore che lo dipinge3 • Nei giorni in cui si compiva in lui l'evoluzione dal ricalcare le orme paterne, senza iscrizione del luogo della fobia, e quindi perduto in una effusività senza limiti che lo induceva a sentirsi fratello del padre e padre del fratello Theo che chiamava figliolo, fino alla vita d'artista, Vincent si trovava nel Borinage, una zona mineraria poverissima dove intendeva testimoniare il suo amore per gli uomini e per Dio. Ma a prescindere dalla località geografica (parra o borra era tra l'altro per la tarda latinità un insieme di cascami di lana o di seta usati per imbottitura, entrato però anche nella denominazione di luoghi come, Sainte-Beuve non manca di rilevarlo, Port-Royal, l'antico Porrois), anch'egli, come la giovane paziente di cui parlai all'inizio, visita il luogo della propria origine per effettuarne una trascrizione in un diverso linguaggio secondo le regole di un metodo di "rappresentazione totale" il cui obiettivo, come poi vedremo, è la chance di un secondo tentativo di riprodursi (in modo, se vogliamo, agamico, per scissione o per partenogenesi o per autocreazione psicotica). A sua volta, in un episodio che precede la partenza per il Borinage, egli è come rapito a tradurre in un diverso linguaggio «lo spartito che ha davanti»: «In un esercizio di francese avevamo trovato la parola falaise. Mentre il maestro ce ne spiegava il significato, Van Gogh 19

chiese il permesso di disegnare una falaise sulla lavagna. Ma il maestro non lo ritenne necessario. Non appena la lezione fu terminata, Van Gogh andò alla lavagna e prese a disegnare un gruppo di scogli. Uno dei compagni più giovani gli tirò la giacca dal dietro per burlarsi di lui. Allora Van Gogh gli si rivoltò contro con un'espressione che non potrò mai dimenticare sferrandogli un pugno tale da fargli perdere ogni voglia di scherzare. Oh! Quel viso sconvolto dall'indignazione e dall'ira»4 • Il problema ora non è di tradurre lo "spartito" in musica, ma una parola, isolata come una singola nota, la parola «falaise» in pittura. Ma che cos'è una «falaise»? È una rappresentazione tra la vita e la morte, la pietra in Omero chiamata «la bianca» (Leukàs) collocata tra le porte dell'Ade e le porte del Sole5 • L'immagine di pipistrelli che se ne stanno congiunti, aggrappolati l'uno contro l'altro in una cupa grotta è bilanciata nel libro XXIV dell'Odissea dall'altra formazione collettiva, quella del «popolo dei sogni», distinti in falsi e veri. La bianca rupe è una rappresentazione in cui l'origine della vita, il suo essere già nell'anticamera della morte, e l'origine della pittura vengono a toccarsi. Al disciogliersi del grappolo dei pipistrelli addormentati corrisponde in Plutarco, cui di nuovo si pone il quesito di «da dove vengono i sogni?», il mescolarsi di «tre fiumane, una più candida della neve o della spuma marina, un'altra simile ai riflessi dell'arcobaleno, altre ancora di diversi colori». La scogliera che nell'episodio dell'ira di Van Gogh si scioglie nei singoli scogli divide il cupo fondo della grotta in cui avvengono tenebrosi accoppiamenti dal flusso multicolore che libera il «popolo dei sogni». Come la nota sol di prima, la scogliera solitaria rappresentata rompe la concatenazione dei suoni, qui i sermoni del padre, e introduce il nuovo regime della pittura e del cucito: la pittura come attività tessile e come cura medica, la pittura come riparazione e come restauro. Il taglio, 20

la rivolta di Vincent contro il padre e la religione del padre non si configura come un gesto rivoluzionario ma come una presa d'atto post-rivoluzionaria: la catastrofe è ciò che viene prima e coincide con lo stesso Amore, illimitato e diffusivo, del e per il padre. Nel Borinage dove dai corpi bruciati dei minatori sta per aprirglisi l'opportunità di trascrivere, di trasferire in un registro di rappresentazione l'ardore eccessivo del godimento del padre, Vincent scrive al fratello6 : «Non faccio che guardare l'incisione "Giovane cittadino"». Il commento di una rivista lo ha colpito: «Uno sguardo che ha visto lo spettacolo orrendo della ghigliottina, un pensiero che è sopravvissuto a tutte le scene della rivoluzione. Egli è sbalordito di trovarsi ancora vivo dopo tali catastrofi». Proprio perché volge le spalle a una catastrofe già avvenuta (il "fondo psicotico" è all'origine della storia di ogni soggetto e un soggetto psicotico solo dal non aver avuto iscrizione del luogo della fobia, si caratterizza in quanto discendente dalla catastrofe originaria del godimento del padre), Vincent attua la sua pittura originariamente, ab initio, come restauro. C'è stato un incidente nella miniera, uno scoppio di grisù, egli taglia per notti intere le sue lenzuola e i suoi abiti, ne fa delle bende che applica, con della cera e dell'olio, alle ferite dei minatori. Allo stesso modo curerà per molti giorni un minatore ustionato «Una volta ho curato per sei settimane o due mesi un povero disgraziato di minatore che era stato ustionato. Per un'intero inverno ho diviso il mio pane con un povero vecchio e sa il cielo cos'altro ed ora c'è Sien». Sei settimane o due mesi, un intero inverno, ora: l'amore per il prossimo marca il tempo della pittura come il tempo di un processo di autorigenerazione. «Bene, fratello, grazie della tua lettera e dei 50 franchi; nel frattempo si è asciugato il disegno e voglio dare dei tocchi di colore»7 • La pittura si fa mentre lui fa qualcos'altro. La topografia della miniera, rilevata da Van Gogh con una piantina del 21

distretto minerario e con la descrizione minuziosa delle cellette anguste, l'alveare, in cui si svolgeva il lavoro, si impresse nella mente del pittore in modo talmente forte da fargli assumere a criterio della serietà della sua scelta la formula pietistica della foi du charbonnier. Questo primo impiego di sostanze oleose e l'esempio del modo in cui in ospedale un medico applica le pomate ai suoi pazienti, indicano il criterio, la "ragione spermatica", della lavorazione cui Vincent sottopone la -fluttuante materia in cui, come «ciascun di noi» secondo Giordano Bruno, è venuto a trovarsi. Dalla lettera 208, relativa a un ricovero ospedaliero di Vincent che aveva contratto uno "scolo", leggiamo l'idea di una pittura che come trascrivendo musica da scrittura, pittura da mu�ica, cuce rappresentazione e realtà, arrivando a interessare, a modificare i corpi stessi dei modelli viventi. Il pittore che plasma la sua attività su quella di un medico e di un infermiere richiama allo psicoanalista l'osservazione di processi che sulla base di fatti della rappresentazione, l'arte dei sogni, per esempio, influiscono sullo stato della pelle e degli organi interni allo stesso modo che nel rinascimento, Bruno per esempio intendeva l'astrologia come influsso sugli astri, sui globi celesti, come cura e restauro dei cieli, affinché la vita umana non ne fosse negativamente determinata. 22 «Per la prima volta da diversi giorni sto seduto e sento, mentre scrivo, rivivere qualcosa in me. Se soltanto stessi di nuovo bene! Se solo potessi lavorare qua, quanto mi piacerebbe eseguire uno schizzo delle corsie. Ora sto in un'altra corsia, senza tende attorno ai letti od alle brande e ci sono degli strani effetti di luce, particolarmente di sera o di notte. Il dottore è precisamente come lo vorrei: assomiglia a certe teste di Rembrandt, con una magnifica fronte ed un'espressione estremamente simpatica. Spero di avere imparato questo

da lui, che in futuro cercherò di trattare con le mie modelle nel modo in cui egli avvicina i pazienti, ossia afferrandoli saldamente e mettendoli immediatamente nella posizione giusta. Fa meraviglia quanta pazienza egli abbia; pratica egli stesso massaggi ai pazienti, applica loro le pomate e li cura in mille modi, infinitamente meglio di un infermiere; e come sa bene come sup�rare i loro scrupoli e far loro fare esattamente quanto vuole. C'è qua un vecchio che sarebbe stato un S. Gerolamomagnifico; un corpo magro, longilineo, vigoroso, abbronzato, con delle articolazioni talmente personali ed espressive éhe fa venire lamalinconia il pensiero di non poterlo avere come modello». Eartista restaura, il tempo dipinge. Van Gogh porge al tempo (il do sotto il sol), il tempo come durata e il tempo come meteorologia, il disegno da asciugare, come abbiamo visto, o il disegno da inzuppare di pioggia affinché la· durezza del tratto, la dura ossatura «che regge tutto il resto»8 , si ammorbidisca degradando verso il «morbido grigio» che rende ogni pittura, a colori o in bianco e nero, un'opera dalla luce e dell'ombra, della loro mescolanza. Agli inizi Van Gogh lavora col tempo, anticipa lo scurirsi dei colori, valorizzando «l'infinita varietà dei grigi - rosso grigio, giallo grigio, blu grigio, verde grigio, arancione grigio, viola grigio»9 • Più tardi, invece, optando per i colori puri, si lascerà lavorare dal tempo: «ci penserà il tempo a scurirli». E nella sua lunga resistenza alla luce e al colore, egli si nasconde, toglie, abolisce in un certo senso il pittore («Ero tanto ansioso di continuare che me ne restai lì e mi riparai come meglio potevo dietro un grande albero. Quando infine terminò e i corvi ripresero a volare, non rimpiansi di avere aspettato, per via della meravigliosa tonalità profonda che la pioggia aveva impartito al terreno»)10 in modo che sia la pioggia o il vento a dipingere. L'artista si eclissa nel tempo pittore. 23

L'acqua: «Malgrado gli scrosci di pioggia ne ho eseguito uno studio [«di un soggetto che vidi a Scheveningen, una distesa di dune al mattino dopo la pioggia»] su di un foglio di carta Torchon, oleata. Dovrà passare molta acqua sotto i ponti prima che io sia in grado di renderlo con quanto vigore mi piacerebbe, ma sono queste le cose della natura che più mi colpiscono. Quanto è bello fuori quando tutto è bagnato di pioggia - prima - durante - e dopo la pioggia. Non dovrei lasciar passare un solo scroscio»11 • Il vento: «Ti ho già detto che devo sempre lottare contro il mistral che impedisce assolutamente di essere padroni della propria pennellata, da ciò il "selvaggio" degli studi».12 In bilico tra i linguaggi, quasi bilanciandosi tra la natura e l'arte, l'arte e le tecniche, la chimica e l'espressione, l'artista reperisce materialisticamente la sua anima con l'anima del mondo. «Il motivo per cui tanto mi piace la pittura non sta nei suoi lati gradevoli, ma nel fatto che chiarisce diverse questioni di tonalità, di forma, e di materiali»13. Intesa in tal modo la pittura viene a coincidere con quel «principio informativo da dentro» che è «il nume, l'eroe, il demonio, il dio particolare, l'intelligenza», di cui parla Giord�no Bruno, in cui, da cui e per cui «si forma la stanza in tutte le cose dette animate, dal centro del core, o cosa proporzionale a quello, esplicando e figurando le membra, e quelle esplicate o figurate conservando»14 . La pittura si insedia nel cuore della stessa vis formativa dell'embrione. Complice della creazione, mette mano all'«eterna sostanza corporea (la quale non è denichilabile né adnichilabile, ma rarefabile, inspessabile, formabile, ordinabile, figurabile)»15 • Giungiamo qui al cuore di una lavorazione insieme biologica e artigianale che ci permette di individuare il segreto dell"'evoluzione naturale" di una psièoanalisi. La statua, la ceramica, l'attività del formare, l'impasto dei colori, il moulding è tutto ciò che dell'agire perverso impronta il non-agire psicoanalitico. 24

Acqua e vento sono fuori ciò che le semplici suppellettili dello studio, le sedie in rrìodo speciale, sono dentro. Gli agenti atmosferici fabbricano il pittore (la sua pelle «conciata», la voce roca, gli abiti da operaio), mentre la pittura di studio struttura lo studio: «Penso che dopo un mese di continuo dipingere, l'aspetto dello studio sarà completamente diverso»16 (e si intende, si badi bene, un mese di continuo dipingere quadri, non pareti). La cura, la sollecitudine incessante di Van Gogh per un «vero studio», di cui non gli sfugge per altro che contiene solo oggetti normalissimi di un'esistenza che non si distingue, stanno in realtà a indicare quella stessa cura di una "pulizia" di pensiero che si realizza per Bruno con lo sloggiare dai cieli le rappresentazioni "bestiali" della dissolutezza del Padre. Il pensiero dello studio è associato a un primo andare verso la pittura («Ora, per parlare di arte in particolare, a volte sento un forte impulso di riprendere a dipingere. Lo studio è ora più grande e la luce migliore»)17 e nello stesso tempo a un tornare indietro, un ripristinare «gli angoli della casa di Ostade», le condizioni di quella antica pittura olandese che non era ostacolata dal «rifare i letti e mille altre cose». Mentre si inoltra nell'esercizio della pittura, attraverso una cauta gradazione dalla coloritura del disegno, agli acquerelli, alla pittura a olio, Van Gogh non cessa di perfezionare la definizione dell'immagine del suo studio in cui «non si ritrovano armi e vasi d'Oriente e tappeti persiani», che non è «ricco di misticismo o di mistero»18; una modella, una culla assicurano l'impressione della vita reale e tuttavia vi si stacca soprattutto la presenza di una sedia vuota, la «sedia vuota di Dickens» (dal titolo di una illustrazione «commovente»)19 il cui senso è di rappresentare la vibrazione poetica di un luogo, di uno "spazio per pensare" in assenza dell'artista. Lo studio, lo spazio puro, depurato, dello studio diviene così soggetto e oggetto della pittura. Questa idea dello studio, che a volte 25

·nelle parole di Van Gogh prende la coloritura ingenua di un'immagine di Epinal, un presepio o un interno chapliniano dondolante sull'orlo di un abisso, bilancia la culla piena (del figlio di Sien, la modella e amante di Vincent) con la sedia vuota, la vita che vi si agita, «dove ogni cosa si muove, incalza, si agita nella sua attività»20 con la quiete in cui posano gli oggetti (e la stessa modella), il vivo dell'alcova con il morto dell'artista che anticipa la propria scomparsa. Luogo della fobia edificato intorno a una barriera molle, dove è bello stare mentre fuori si agitano fantasmi minacciosi («se solo dovessimo avere a che fare con la gente unicamente all'interno dello studio!»)21, supporta la possibilità di pensare con la sollecitudine tecnica, per le qualità di carta, per strumenti come il telaio da prospettiva che permette di guardare la spiaggia, i campi, i prati «come da una finestra»22 , per straordinari apparecchi capaci di dosare, limitandola, la luce naturale23. Quella stessa luce che dilagando al Sud farà calare il sole stesso, nella sua mole gigantesca, alle e sulle spalle del seminatore giunto al termine della vita. «Voglio che il mio studio sia un vero studio da pittore quando tornerai. Sai che ci furono diversi motivi per cui ho smesso di dipingere a gennaio, ma, infine, lo si può considerare come un guasto di macchina, una vite od una sbarra che non essendo abbastanza robusta ha dovuto venire sostituita da una più forte»24 . Inutile dire che lo studio di Van Gogh, questo studio di Van Gogh non è mai esistito. Chi ebbe modo di visitarlo ne riportò l'impressione di un luogo orrendamente sporco e disordinato. Esso. è in realtà un luogo della memoria, simile ai luoghi celesti dell'arte della memoria secondo Giordano Bruno, in cui le sedie 'ben disposte, sgombrate dal disordinato zodiaco del godimento di Giove, offrono, come la «sbarra abbastanza robusta» a Van Gogh, un an26

coraggio a pensieri che in contrasto con il "dispendio" paterno meritano il titolo bruniano di «buone contrazioni»2s_ Nello spazio infinito dei cieli, da lui svelato agli uomini, Bruno ha posto l'interno, la misura, il limite, di una stanza. E il potenziale della magia non è di estendere il predominio dell'uomo sulla natura ma di attrarre e contrarre l'animale nell'uomo, incerviandolo, · come Atteone. «Madre conservatrice di tutte le cose»26 , la natura modera il godimento che violenta e altera l'unità delle forme. E così la nascita, l'uscita dal buio carcere della Cena de le Ceneri, inverte l'ordine del concepimento: spezzando le sfere celesti ma in funzione di un movimento di de-penetrazione. Bruno non è il filosofo di una penetrazione nei cieli ma di una de-penetrazione della terra. E così vediamo uno spazio, in Van Gogh, iscriversi a contrastare l'estensione di quella ricopertura totale che abbiamo visto tappezzare anche la pelle di Igor. «Il tutto mi dà la nausea. Ma quei signori continuano a chiedermi, non senza una certa loro aria di sollecitudine se: "Non sto dipingendo, ancora?". Ora a volte anch'io mi siedo e, per così dire improvviso a caso su di un foglio di carta, ma a questo non do m�ggior valore che ad uno straccio o a una foglia di cavolo. E spero capirai che continuo a stare bene intento al disegno per due motivi: anzitutto perché voglio farmi una mano ferma per il disegno e secondariamente perché la pittura e l'acquerello danno luogo a molte spese per cui non c'è modo di rifarsi immediatamente e quelle spese sono due, dieci volte maggiori di quelle in cui uno incorre con un disegno che non sia sufficientemente corretto. E se io mi indebitassi o mi circondassi di tele e cartoni tutti ricoperti di pittura senza avere la sicurezza nel disegno, allora sì che il mio studio diverrebbe in breve una specie di inferno, come ne hanno l'aspetto 27

alcuni studi che ho visto. Oggi nel mio, entro volentieri e lavoro con entusiasmo. Ma non credo che tu sospetti che io manchi di volontà»27 • Che cos'è dunque lo studio di Van Gogh? esso è luogo di rappresentazione pura, ripresa del luogo della fobia, un restauro curativo in vista dell'organizzazione di una struttura e insieme stanza di un atto di generazione dal di dentro, per gemmazione, che conservi la vita e la trasformi (il tentativo in realtà, condannato dai fatti stessi della vita, di procreare senza procreare, di generare senza introdurre al tempo stesso il disordine e la morte nel mondo esistente). Ivi Van Gogh si ritrova, come molti analizzanti in una fase decisiva dei loro sogni in analisi, adolescente in quel punto critico in cui si usa far leva sulla volontà. Quello dell'adolescenza è un crocevia, è lì che viene collocato lo scambio di posto tra fratelli (spesso anche l'assunzione del sesso opposto) davanti all'incombere che si profila del secondo culmine, il culmine in realtà solo dilazionato e copresente al primo, del godimento paterno. Il volgersi dei pazienti in analisi, pazienti adulti, verso la possibilità "rivoluzionaria" di restaurare le teorie sessuali (curiosa prospettiva di una rivoluzione restauratrice!) è spesso annunciato da un sogno che riconduce il paziente indietro nel tempo fino a pareggiare l'età del fratello o della sorella minore e a entrare, a penetrare nel posto, nella casella, da loro occupata. (E questo spiega l'aumentata difficoltà dei casi di pazienti che per essere figli unici o fratelli "minori" non hanno con chi scambiarsi e si trovano così pericolosamente a giganteggiare, portati da scale e ascensori ricorrenti nel sogno, faccia a faccia col culmine paterno). Così il sogno di una mia paziente che, telepaticamente, ha scoperto i pensieri che mi occupano, introduce l'arrivo al servizio psichiatrico dove lavora di un giovane bruno, napoletano, un nuovo direttore, succeduto al frate che c'e28

ra prima, bruno, napoletano, ex frate, venuto a portare una rivoluzione che per lei si traduce in una vertiginosa corsa all'indietro, lungo un corridoio pieno di porte, fino a ritrovarsi a tenere per mano una bambina che è lei stessa ma nei panni della sorella più piccola con il nome del ragazzo di quest'ultima. Con incredibile precisione un altro mio paziente, altrettanto all'oscuro del mio interesse per Giordano Bruno che nessun mio scritto o parola ha lasciato fino a quel momento trapelare, sogna <d'analista che disegna una N: come il contorno di due monti da cui può nascere o tramontare il sole». Si tratta della N che indica il Nolano. Infatti a Bruno mi ha portato l'entusiasmo di Joyce che nel suo seritto The day ofthe rabblement, inserì, eco di «Or che dirrò io del Nolano?»28 nella Cena de le Ceneri, la frase che sconcertò i Dublinesi: said the Nolan, disse il Nolano. E la lettera N, sigla e "mappa" di una teoria dei due culmini della sessualità umana, è anche il grafico di uno scambio, la forma di un chiasmo che mette in gioco, non solo due, bensì quattro termini, le posizioni reciproche dei fratelli oltre al loro sesso. Il punto così individuato, che può collocarsi fra i dodici e i diciotto anni, è quello appunto che permette, come voleva Freud, la chance di un secondo inizio, di una nuova scelta, ed è quello pertanto cui si riallacciano le speranze di un cambiamento, di una rottura nei meccanismi ripetitivi della nevrosi, di una «mutazione degli affetti»29 • L'eccezionalità di questo kairòs risiede nel fatto di incidere sugli stessi fondamenti biologici della realtà psichica, sulle stesse radici deterministiche che fanno apparire così esterno, obiettivo, del tutto indipendente dalla volontà del soggetto, il fato che lo trasporta. Il Nolano parla molto spesso di Giona, inghiottito e restituito dal grande cetaceo. In questo si esprime la comunione animale da cui esce il genere umano, ma anche il movimento di una ri-nascita. L'origine dell'uomo è posta da Bruno nel punto di un ricominciamento per il quale, 29

come nel concilio degli dei, la "realtà" sessuale è processata e sottoposta a revisione. Così il diluvio si presta a raffigurare il principiare della vita umana secondo una duplice, differente modalità: la generazione, che è poi una rigenerazione, e la riparazione. Di questi due modi si tratta di decidere quale sia la favola e quale la storia e su quale dei due si orientò Giove a esserci padre: «Finalmente determine se lui è quel patriarca Noè che, imbreaco per l'amor di vino, mostrava il principio organico della generazione a' figli, per fargli intendere insieme insieme dove consistea il principio ristorativo di quella generazione assorbita e abissata da l'onde del gran cataclismo, quando doi uomini maschii ritrogradando gittaro gli panni sopra il discuoperto seno del padre»: e questo è insieme insieme il padre dello psicotico, per il quale il "principio", l'organo della generazione è scoperto e scoperta la matrice omosessuale del cataclisma della generazione. L'interrogativo di Bruno è se il Padre, Giove, si identifica con questa figura di Noè, oppure con Deucalione: «o pur è quel tessalo Deucalione, a cui, insieme con Pirra sua consorte, fu mostrato ne le pietre il principio della umana riparazione; la onde da doi uomini, un maschio e una femina, retrogradando le gittavano a dietrovia al discuoperto seno della terra madre?»30 • Qui non si parla di generazione, ma di riparazione, il principio è inorganico e il movimento retrogrado mostra a un maschio e una femmina, al posto di due maschi, come districarsi dalla dipendenza - discendenza dall'organo della penetrazione (e intanto ripagare il tradimento originario della madre). La riparazione (delle teorie sessuali infantili), forte del suo rifugiarsi in un grembo animale (il grande cetaceo), prende il posto di una generazione troppo umana. Una riprova non sospetta appartenente a un caso non mio, che seguo soltanto in controllo, mi viene dal sogno di un giovane fobico che proprio per essere "un fobico" è privato di quello spazio per pensare, per fantasticare che è il 30

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