Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

alle mani di chi li aveva fatti. Quelli che erano solo posseduti, aspettavano di essere usati. Gli oggetti si potevano rompere o essere rotti , perdere o essere perduti, o essere rubati (dolore, amarezza, rabbia). Alcuni di quelli che andavano cambiati potevano essere gettati via solo quando si poteva sostituirli. Ma non tutti gli oggetti ormai inutili venivano gettati via, alcuni potevano essere scambiati, altri donati, altri venduti se il guadagno superava il piacere del dono; pochi la cui storia rendeva impossibile una di queste differenti eliminazioni, potevano essere bruciati perché solo così potevano definitivamente non appartenere ad altri. Affollandosi nell'arco di una vita gli oggetti potevano smarrire la loro storia, ritornare nell'anonimato e nell'estraneità. Ma più degli oggetti, le case (altro erano le abitazioni) che quegli oggetti custodivano stratificati nel tempo, come reperti di terreni geologici. Il tempo li disponeva e li avvolgeva in una diseguale patina di lontananza. C'erano case le cui suppellettili rimanevano immobili per anni per rispetto di una memoria o perché attraversate distrattamente da chi le abitava. Una casa poteva mutare più volte nel corso di una vita, tirata come la pelle di un tamburo da una parte o dall'altra a coprire le diverse necessità di chi la viveva. Altre venivano spogliate da incursioni o svendite, altre continuavano a crescere ad affollarsi di oggetti aggiunti da chi per esistere aveva bisogno di conservare ogni traccia del proprio passaggio. Poi c'erano i muri, gli intonaci e le crepe di cui le case erano fatte (in alcune di esse un fuoco), lo spazio che racchiudevano e quello che le circondava. Grandi pietre erano soprattutto visibili nelle chiese e nei castelli. C'erano le pietre, arrotondate dal fiume e appiattite dal mare. I fiori le piante (comprate, rubate) coltivate, sulle quali chinarsi col brivido che si ha verso chi è alla tua mercè. 199

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