Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

espunge il problema del restauro erroneo. Per i Greci, scarsamente inclini allo studio delle lingue straniere, l'interprete, ben lungi dall'essere un personaggio irenico, benemerito e tollerante, era un personaggio del quale occorreva diffidare. A edificazione dei filosofi amanti dei patrimoni mitici e del loro insegnamento si può ricordare che Ermes, sotto le cui insegne si colloca l'ermeneuta, era anche il dio dei ladri e dei bugiardi. Proprio nel restauro ermeneutico si cela la possibilità dell'inganno, anche nella forma dell'autoinganno. E ciò si collega a quella struttura triadica del restauro scritto extra-testo, il quale non è una operazione solipsistica, ma il tentativo di mettere in comunicazione ciò che è detto nel testo con gli eventuali destinatari presenti e anche futuri. In questa mediazione l'interprete che restaura esibisce contemporaneamente, in connessione al testo restaurato, anche se stesso: il restauro, appunto, non è anonimo. Ma è sempre possibile compiere operazioni che camuffino o nascondano i limiti storici dell'interprete restauratore o eliminino le sue responsabilità, costruendogli intorno una cintura sanitaria protettiva, che giustifichi già in via preliminare la sua impossibilità di cadere nell'errore. Una delle più venerande, perché più antiche, è il restauro iniziatico, che si presenta per definizione carico di significati occulti ai più e accessibili solo a quei pochi che accettino e si sottopongano allo stesso itinerario iniziatico. Uno di questi modi è l'allegoria, che in determinati momenti di lotta religiosa o politica servì anche a sfuggire alle catene e alle persecuzioni di un'autorità interpretativa unica. Un altro è stato, ancora nel nostro secolo, il restauro, che trova la propria autorizzazione in un legame privilegiato di lingua o nazione o sangue, per esempio nella famigerata parentela tra Greco e Tedesco, la quale serve a legittimare una sorta di diritto di occupazione sull'oggetto da restaurare. Ma un altro ancora è quello già citato, che dall'equivalenza dell'infinità delle interpretazioni autorizza se stesso in192

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