Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

ce modificare sensibilmente-come è accaduto di recente -sulla base di un documentato fondamento storico, l'immagine sonora dalle Sinfonie di Beethoven che tutti conoscono e ritengono a memoria, suscita reazioni di rifiuto di portata assai maggiore, insieme a problemi filologici di natura diversa che per la musica pre-classica. Ad una storiografia musicale idealista che accentra il suo interesse sull'opera come depositaria di valori estetici immutabili, la filologia della prassi esecutiva rimane indifferente, se non invisa. Per una storia della musica che miri invece a «ricostruire un'avvenimentomusicale' del passato-inteso come reciproco addentellarsi di testo, esecuzione e ricezione»20, la consapevolezza sempre maggiore-anche in senso estetico-della prassi esecutiva d'epoca (prassi individuale che è insieme pratica sociale) è forse uno degli strumenti indispensabili per articolare una conoscenza del passato, per sfuggire a quel «dissolversi del concetto di opera»21 , cioè alla cecità per l'elemento estetico, che secondo Dahlhaus affligge irrimediabilmente questo modo di procedere storiografico. Probabilmente è proprio nella continuazione delle ricerche sulle modalità e sul senso delle antiche esecuzioni musicali una delle possibilità più feconde per migliorare e dare più coesione alle nostre conoscenze sul costume, sull'educazione, sulla funzione, sul ruolo sociale dei musicisti e della musica e quindi sulla sua ricezione nelle epoche passate. Cognizioni che giacciono tuttora sparse, lacunose e improduttive allorché si affronta un testo in chiave ermeneutica, cercando di «sposare» la filologia all'estetica, senza per questo ricadere nell'idealismo storicista, senza rinunciare all'idea che un testo ammette una molteplicità di interpretazioni e che la sua comprensione più adeguata ed esauriente passa attraverso la conoscenza di tutte le possibili interpretazioni di esso. Giordano Montecchi 171

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