che di più difficile definizione a causa del suo carattere extra-documentario per eccellenza e, soprattutto, entra in contatto con problemi di interpretazione strettamente intrecciati con la dimensione estetica, generando questioni che come scrive Jauss hanno «tutti i requisiti per mettere in imbarazzo il filologo»5 • La crescente sottigliezza delle argomentazioni storiche o erméneutiche che si frappongono fra il musicista, il musicologo e il frutto del loro lavoro di ricostruzione sonora del passato musicale producono l'estremizzarsi di posizioni, diatribe metodologiche, pronunciamenti aprioristici in cui traspare non di rado il fastidio, la ripulsa ad ammettere una molteplicità di interpretazioni possibili quale viene suggerita dall'ermeneutica. La paura della scepsi, della relativizzazione integrale viene così esorcizzata, spesso, da musicisti e filologi, consegnandosi alla concretezza del «fat to grezzo»6 , incontrovertibi le storicamente, inseguendo l'idea di una esecuzione non compromessa da scelte di gusto, di matrice estetica e quindi del tutto oggettiva e fedele alla verità del testo7 • È· una posizione questa che, curiosamente, può trovare concordi in linea di principio sostenitori della filologia dell'esecuzione e detrattori di essa in nome della «fedeltà al testo», restringendo drasticamente lo spazio di intervento dell'esecutore, sostenendo implicitamente o esplicitamente che il testo dice già tutto e ad esso non bisogna aggiungere né togliere nulla: basta tradurlo in suoni8 • La ricchezza espressiva, la pienezza estetica che l'esecutore allevato nel solco della tradizione postromantica trova nella pagina - antica o moderna non importa - interpretata in base ai progrediti criteri esecutivi trasmessigli dalla sua scuola lo lascia tranquillo circa la liceità del suo tentativo di porre in luce il vero senso dell'opera. Porgli interrogativi sull'eventuale anacronismo del suo intervento realizzatore di una musica che secoli prima 159
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