Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

lettura - molto asettico, interni bianchi, grandi spazi geometrici, dove l'opera d'arte è, sì, decontestualizzata, ma all'interno di un linguaggio che non crea grandi vio­ _lenze interpretative, perché la fruizione estetica è demandata, quasi esclusivamente, alla specificità di ogni oggetto esposto. Conti. I problemi sono moltissimi, anche relativamente al contesto più immediato: si espongono i quadri con o senza cornice, su quale tipo di fondo, con quale tipo di luce? Non a caso è stato nel corso del Settecento che si sono codificate le norme ottimali per l'esposizione dei dipinti (con la luce che viene dall'alto, come nei vecchi musei con lucernari): anche la luce fa parte di quella materia a cui si presta tanta attenzione in quel secolo, un secolo che non ha ancora conosciuto la scissione idealista fra idea-ideazione e tecnica-strumento. Le norme individuate allora restano sempre un punto di riferimento per tutte le opere per le quali ha valore la presentaz:ione come opera d'arte. Anche le vecchie gallerie gentilizie, con i quadri attaccati l'uno sopra l'altro, le grandi cornici dorate, le pareti contro luce con i quadri che si vedono peggio, creano un nuovo e suggestivo contesto. Mi ricordo la sorpresa di quando scoprii in una di queste gallerie uno strano strumento: una scatola di latta con due guide per gli occhi, che serviva per schermare la luce quando si dovevano osservare i quadri disposti attorno alle finestre: i quadri si vedevano uno per uno, gli occhi avevano agio di adattarsi di volta in volta alla luce più viva o più dimessa e di veder bene ogni dipinto. Era uno strumento che ci suggeriva di andare noi incontro ai quadri, non di volerli trasportare verso il nostro mondo, le nostre assuefazioni. L'incontro con le opere d'arte richiede sempre uno studio, non nel senso di una ricerca erudita, ma nel senso di una verifica delle nostre idee, delle nostre impressioni con la loro real147

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