Il piccolo Hans - anno XVI - n. 61 - primavera 1989

antiche ferite, di una in particolare di cui rimane la cicatrice e il dolore. Questa ferita è la ferita della vagina: «guardando lo spartito che ha davanti». Madre e figlia sono dotate dello stesso pene, per tutte e due il bambino che ride, posto di faccia e unito al corpo della partoriente, con un «taglio in testa» come definisce l'analizzante la cicatrice da forcipe. Si tratta di apprendere a masturbarsi, la tecnica di un piacere sol-itario, e su questo punto scivola l'abilità dell'analizzante che si ritrova, rifemminilizzata, con una gonna da dipingere. La tecnica della pittura rivela una facoltà, una vocazione moderatrice, rispetto alla musica che in questo sogno opera invece su scale la cui progressione, il cui ritmo, suscita la rappresentazione del godimento estremo dell'orgasmo. La pittura vela e copre, tenta soluzioni più ingegnose che non scale che non si sa dove finiscano: viene suggerita una ricucitura che mira al cuore stesso di un intervento di restauro che ripristina gli intenti delle teorie sessuali: riverginare la madre, ricucire la vagina. Aporia che di un sogno iniziato ridendo fa un sogno d'angoscia e violenza, giacché con questa "operazione" l'analizzante, figlia unica dicevo, ipotizza il proprio annientamento. Un annientamento che un'improvvisa reminiscenza rivela perpetuarsi come rinuncia, nell'amore come nell'operare: ripetendo il racconto del sogno l'analizzante si accorge che il disegno della nota che aveva in mente e che chiamava sol era in realtà quello di un do. Col ritrovamento di questa nota, la prima della serie delle sette note, l'analizzante è però ri� condotta anche a un diverso problema di origine: il problema non più di come essere il fallo della madre, ma di come riuscire a concepire una forma di dono che non sia una perdita. La nota do, così ben nascosta dietro la rappresentazione del sogno, ne costituisce il segreto e il fondo: è ciò che resta dopo che il sogno è stato sognato e raccontato, dopo che un restauro è stato effettuato. L'ignoranza della vagi13

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