Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

si faccia ricorso al discorso diretto, sia a quello libero indiretto. Rimane tuttavia il fatto che attraverso i «discorsi» chi li pronunzia assume determinatezza e corposità, si fa «personaggio», e non più soltanto «nome», o, al più, «funzione» del ruolo da lui esercitato. Quando poi accada (e accade quasi sistematicamente nella Storia d'Italia) che l'autore esprima un giudizio, o tracci un ritratto-persino -a volte, fisico-delle maggiori personalità coinvolte negli eventi narrati, la individuazione e specificazione della loro «soggettività» ne risulta ulteriormente intensificata. Altra tecnica specificamente romanzesca che possiamo trovare in questa tipologia di narrazioni storiche, è quello della suspence: nell'Anabasi, ad esempio, come meglio vedremo più avanti, la possibilità che i soldati greci in ritirata possano davvero raggiungere le coste del Ponto Eusino, e così aprirsi la via della salvezza, è costantemente mantenuta in dubbio sino alla fine del quarto dei sette libri, per quasi due terzi, cioè, dell'intera opera. Infine, tanto nell'Anabasi che nella Guerra gallica, emergono con particolare rilievo il desiderio e la volontà, da parte degli autori, di costruire una immagine anche «psicologica» di sé. Non si espongono soltanto le proprie azioni, ma le motivazioni che le fondano nella personalità stessa dell'«egli» che sta nella narrazione al posto dell'«io». Per quanto autoapologetico possa essere il punto di vista che ne risulta, tale «autoritratto» si imprime nella memoria del lettore, e sopravvive di fatto anche al lavoro della critica storica, o alle immagini che di un Senofonte o di un Cesare ci hanno offerto i loro stessi contemporanei. E non è divenuto l'amaro pessimismo che anima la narrazione guicciardiniana della «ruina d'Italia», un contrassegno, anche stereotipo, della sua figura umana? Sembra pertanto vi siano motivi più che sufficienti - ripetiamo, nell'empiria di una scelta certamente «mira69

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