Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

Il piccolo Hans r.ivista di analisi materialistica 59 autunno 1988 Virginia Finzi Ghisi 5 La medicina dello stile Italo Viola 11 Naturali esperienze in forma narrata (Sui "Saggi" di Lorenzo Magàlotti) Giovanni Bottiroli 36 Retorica del personaggio Mario Spinella 65 La salvezza, la vittoria, la sconfitta. Tre narrazioni storiche Gianfranco Gabetta 87 Il demone della narrazione (Bloch, Benjamin, Tieck) Rossana Bonadei 105 J.M. Keynes: la costruzio�e di un metodo Gabriele Frasca 149 "Dov'è viva colei ch'altrui par morta" Giuliano Gramigna 161 Il racconto di Eros e Thanatos Andrea Brunetti 178 La tela di Omero Antonio Faeti 186 L'eremita di massa

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Contardo Calligaris, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Rossana Bonadei, Giovanni Bottiroli, Andrea Brunetti, Antonio Faeti, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Gabriele Frasca, Gianfranco Gabetta, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. redazione: Via Nino Bixio 30, 20129 Milano, tel. (02) 2043941 abbonamento annuo 1988 (4 fascicoli): lire 35.000, estero lire 52.500 e.e. postale 33235201 o assegno bancario intestato a Media·Presse, Via Nino Bixio 30, 20129 Milano Registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano Fotocomposizione: News, via Nino Bixio 6, Milano Stampa: Tipolitografia Meina, Carugate (Milano)

La medicina dello stile Lo scrittore naturalista, scrive Mandel'stam nel suo articolo Intorno ai naturalisti del 1932, non sceglie il proprio stile, né lo trova già pronto. È questa duplice negazione che mette sul filo di un'impossibilità che è insieme logica e pratica e riguarda lo strutturarsi del pensiero in una situazione che appare senza via d'uscita, e per Mandel'stam sull'orlo della scomparsa, a rendere «particolarmente evidenti nelle scienze naturali» non solo però «i problemi della forma scientifico-letteraria», ma ciò che awiene del soggetto nel momento del suo insediamento. Come Buffon nel discorso del suo «insediamento» come accademico, anche qui in prossimità di una rivoluzione, sceglie di parlare dello stile, così difronte ali'imminenza della catastrofe annunciata dall'angoscia, nell'impossibilità delineata dall'inibizione, ancora una volta lo sfondo darwiniano colloca l'opera di Freud, la sedia che il soggetto sceglie al pari di Van Gogh che l'ha messa all'inizio, prima, di una sua attività pittorica (vieni, dice al fratello Theo, ti farò vedere il mio studio e la sedia che vi ho messo e capirai come non si può fare altro che il pittore); o di Vietar Hugo che vi intaglia nello schienale le proprie iniziali, è esempio dell'inanimato con il qual.e confrontarsi: un inanimato che resta fermo al suo posto, che non avanza minaccioso come i cespugli della foresta di Sherwood, che toglie il potere pertur5

bante al fondamento psicotico nel quale il bambino ha mosso i primi passi, ma per fermarsi ora, sul limitare del luogo della fobia. Qui, il soggetto ritaglia nella natura una porzione, che è perciò insieme naturale e artificiale, né trovata già pronta né scelta, giacché è quella che già si trova in prossimità della casa, in adiacenza alla camera, ed è il primo luogo che testimonia nella lunga storia che apparirà in un'analisi una corrispondenza precisa tra forme della natura e forme del soggetto, tra nome del padre, sul versante del fondamento psicotico, e macchie di animali, sul versante della manipolazione del nome. Così awiene che ciò che apparterrebbe per eccellenza al simbolico, un nome, riveli la sua etimologia nell'attività del padre, nell'attività amorosa del padre con la quale lo psicotico si identifica, e ciò che di più naturale può sembrare, le macchie sul dorso di un cane, facciano apparire, parallelamente al lavoro della selezione naturale e al forgiarsi del gusto degli allevatori, la lavorazione che l'apparato psichico ritrova nella natura durante la costruzione delle sue difese. E così l' «educazione» non awiene come per Emile, secondo una natura che attende il soggetto in uno sviluppo lineare da una fase all'altra, la morale a quindici anni e l'Essere supremo a diciotto, ma in una natura organizzata: Eugénie de Franval, Sade la fa mangiare «correndo nel giardino, un grosso pane di segala», ma alle sette.in punto, e all'innocenza «naturale» del viaggio diderotiano di Bougainville, il regno di Butua, nel cuore dell'opera Aline e Valcour di Sade, come Francesi ancora uno sforzo occupa il centro della Philosophie dans le boudoir, oppone, contro la nudità totale delle donne di Bougainville, una nudità limitata e artefatta dal velo che ne copre tutti i volti, sicché la possibilità del riconoscimento è affidata ali'esplorazione manuale. Una manipolazione che viene ad appartenere a un «restauro» (quale lo vedremo in un prossimo futuro) quando pone sullo stesso piano, ripetizione del primo tentativo di 6

Hans di instaurare una relazione tra il proprio fapipì e l'oggetto dell'abilità artigianale dell'idraulico, il membro dell'uomo e il fallo artificiale nell'educazione di Eugénie de Mistival nella Philosophie dans le boudoir. Anche qui si parte dalla doppia negazione che Sade usa parlando della famiglia, «non nascono che bambini ai quali la conoscenza del padre è assolutamente interdetta e con questa anche la possibilità di non appartenere che a una stessa famiglia». E questa doppia negazione che fa lo «stile» è la stessa che vale per la riuscita della rivoluzione, per la quale, dice Sade, non basta togliere le immagini di Dio, ma bisogna occupare il vuoto lasciato, nel quale potrebbe insinuarsi il teismo puro, con le antiche statue degli dei pagani: ecco la riscrittura. Una nuova toponomastica, al suo tavolo alla sezione delle Picche, è il lavoro, il disegno cui si dedica Sade: ogni vecchio nome di via deve essere cancellato, ma anche riscritto, e poiché il nuovo spesso è fragile, ci si rivolge alla scrittura più antica perché ricopra quella più recente: Solone o Cice- • rane ricoprono rue Saint-Lazare, Regolo si sovrappone ai Capuccini, Catone e Licurgo cancellano nomi che non ricordiamo già più. I due grandi versanti delle opere di Sade, Aline e Valcour, Adelaide di Brunswick, da una parte, Juliette, le 120 Giornate di Sodoma dall'altra, di cui solo il secondo viene di solito ricordato, perché si usa leggere Sade come maestro di erotismo, stanno a rappresentare natura e artificio, ma lo stile dell'inversione fa sì che ciascuno si possa leggere solo attraverso l'altro. Nella Philosophie, in cui li troviamo entrambi, immoralità ed etica, la pratica dell'inversione è continua: «la notte del silenzio» invece del ((silenzio della notte» e ancora: ((si aggrapperà al vostro collo come quelle madri che portano i bambini sulla schiena», e ancora: ((creando gli uomini, è piaciuto alla natura differenziare il loro gusto ( a) come le 7

loro figure (b), e non dobbiamo stupirci della diversità dei loro lineamenti (b) più che di quella delle nostre tendenze (a). » Quando non è una semplice Nota di due righe a testo finito, come nell'Adelaide di Brunswick, a sovvertire tutto il racconto e a trasformarne il soggetto: «La precedente narrazione si riferisce a un fatto storico del secolo decimoprimo, ma l'autore, non avendo trovato in Adelaide che uno di quei caratteri odiosi alla nostra mentalità, s'è visto costretto ad apportar tali e tanti cambiamenti da potergli tranquillamente attribuire la quasi totalità del merito dell'invenzione. » Dove la nota fuori testo trasforma la virtuosa Adelaide e riempie di fatti, i viaggi di Adelaide, prima gratuiti spostamenti, ora possono contenere incontri, baci, amori, di fatti che fino a poco fa non esistevano se non come fantasie del marito geloso, i vuoti e le cavità. Il caso si trasforma in organizzazione, la «naturale tendenza» in logica. La natura, di cui con Darwin abbiamo scoperto i legami con le strutture del pensiero, che si va costY!:1-endo così, non dunque per uno sviluppo lineare, ma su un proprio fondo con aggiustamenti e artifici, profili corretti e sovrapposizioni, si fa più vicina alla tecnica della pittura, e così per la psiche la cura, o all'attenzione classificatoria della miniatura, che alle buone intenzioni dell'ecologia. Scrittura, riscrittura, ripetizione stendono strati di colore, come Van Gogh leniva con la tecnica della pittura a olio le piaghe dei minatori del Borinage. E l'apparato psichico si appropria di uno stile che gli serve, strato su strato, a rappresentare strategicamente, tra le costruzioni di difesa, i due culmini dello sviluppo sessuale che riguardano in realtà la formazione e la soprawivenza del soggetto «insediato». Così non a torto Mandel'stam può intuire che lo «stile» del naturalista è assai simile al dispiegarsi di una campagna militare: ci ritorna il racconto di Sterne che procede tra 8

la nascita di Tristram Shandy e le formazioni di difesa erette nell'orto da zio Tobia. Lo «stile», <<L'elegante struttura del cuore, con le vene che ad esso convergono, scrive Linneo, serve esclusivamente a stimolare la circolazione del sangue», del pensiero naturalista serve in condizioni di «blocco» una mobilitazione del pensiero: non più per una riappropriazione della natura nel senso di Hegel e Marx, ma per aprirsi una «radura», assai simile al «luogo della fobia», in un deserto armeno in cui sia possibile persino ritrovare, alla vigilia della propria deportazione, una concezione del mondo. Virginia Finzi Ghisi NOTA - Osip Mandel'stam, Viaggio in Armenia, a cura di S. Vitali, Milano, Adelphi, 1988. - Sergio Finzi, Misurazione, calco e originale nell'analisi di un caso di psicosi infantile, in «Il piccolo Hans» 53, primavera 1987; Forme della natura e del soggetto: la «nevrosi di guerra in tempo di pace» e una teoria psicoanalitica dei colori, in «Il piccolo Hans» 57, primavera 1988. - Vincent Van Gogh, Tutte le lettere, Milano, Silvana Editoriale d'Arte, 1959. - Virginia Finzi Ghisi, Sade, prefazione a Sade, Francesi ancora uno sforzo, Rimini, Guaraldi, 1973; Sade e la rivoluzione della generazione seconda, in Sade, Scritti politici, Guaraldi, 1973; La piccola frase di D.A.F de Sade, prefazione a Sade, La filosofia nel boudoir, a cura di V. Finzi Ghisi, Bari, Dedalo, 1974, ristampa 1982. 9

LA PRATICA FREUDIANA Insegnamento di teoria e clinica psicoanalitica Seminario 1988-89 il giovedì alle ore 18 nella sala riunioni della Provincia, Viale Piceno 60, Milano Sergio Finzi terrà quindicinalmente il seminario: L'universo delle teorie sessuali infantili e la psicosi apertura: giovedì 24 novembre alle ore 18 Continua il gruppo di studio: Per un ambulatorio psicoanalitico dei bambini ;': Il 24-25 febbraio si terranno a Mantova, Teatro Bibbiena, due giornate di studio su: Il restauro e l'anima del mondo psicoanalisi e critica sul tema del nome e dell'originale, dell'origine e della psicosi, in bilico tra distruzione e riparazione.

Naturali esperienze in forma narrata (Sui "Saggi" di Lorenzo Magalotti) L'etica del sensitivo Parliamo del piacere di rileggere. I dettagli che, questa volta, abbiamo cercato per primi nei Saggi di naturali esperienze, pubblicati da Lorenzo Magalotti nel 1667, sono della specie che si può trattare come materiale significante per una biografia, per un profilo dell'autore che ricambi amabilmente una certa familiarità con la sua scrittura: «biografemi», direbbe Barthes. ·Prendiamone uno come esempio. Gli accademici del Cimento ·avevano tentato più volte un'esperienza da loro ideata «per conoscere se all'ambra ed all'altre sustanze elettriche si richiegga il mezzo dell'aria perché attraggano»; ma il procedimento era complicato la sua parte, e l'esperienza riuscì sempre «poco felicemente». Si doveva maneggiare «un gran vaso di grosso vetro» munito di un lunghissimo cannello e, alla bocca su un lato, di una «gran vescica», la quale, una volta che lo sperimentatore avesse introdotto la mano nel vaso, andava strettamente legata «alquanto sopra la snodatura del polso». (Un nitido disegno di tutto l'apparecchio è riprodotto in una delle tavole che corredano il libro fin dalla prima edizione, curata dallo stesso Magalotti). Si faceva il vuoto col solito mezzo dell'«argentovivo», che doveva scorrere dal vaso attraverso il cannello in una catinella, anch'essa mezza piena di quell'elemento. Equesta operazione andava eseguita in due tempi: prima si 11

doveva riempire ben bene il vaso e il cannello, poi, una volta chiusa la bocca del vaso in alto e stretta la vescica, si doveva liberare l'apertura all'apice del cannello e togliere il «fardel di cotone» su cui era appoggiata, in modo che il mercurio potesse scorrere nella catinella. Occorrevano inoltre, per questa esperienza, «un pezzuol d'ambra gialla della più nobile» e «un leggierissimo dondolo» - un pendolino - di carta o di paglia, «accomodato» dentro il vaso, e anche una «striscetta di panno incollata per di dentro in sul vetro». Insomma la cosa non poteva riuscire: sia provando col vuoto, sia poi provando col vaso «ripieno d'aria», l'ambra non dette alcun segno di «voler tirare» il pendolino. Si sospettò allora «che dall'argentovivo stesso si lasciasse alcuna spezie di feccia in sul panno, sì che poi strofinatavi l'ambra ne ricevesse un leggiero appannamento, il qual turasse !'invisibili bocche di quelle vie ond'esce la virtù sua» 1• Questo appannamento, che tura bocche invisibili, da cui un pezzuol d'ambra dovrebbe mandar fuori la sua virtù elettrica e attrattiva, è l'esempio che vogliamo portare dei dettagli che - come «particolari» o «gusti» o «inflessioni» - formano nei Saggi di naturali esperienze la materia significante delle «estasi sensoriali» di Lorenzo Magalotti. Non è però materia che rappresenti l'evento o il culto o qualche memoria dell'estasi sensoriale: è una pluralità di tenui presagi, di indizi, materia disseminata e mobile; applicarsi a rintracciarla - bisogna ammetterlo - è azzardato fino alla provocazione. «La valutazione delle opere magalottiane è resa oggi ardua da un'ipoteca di lettura stilistica risalente alla riscoperta "curiosa" operata nel Novecento da critici di formazione "rondista" (Lorenzo Montano, Enrico Falqui, Mario Praz, Giuseppe Raimondi).» Bisognerebbe prima di tutto liberare l'interpretazione del Magalotti da tale ipoteca, avendo presente che - come scrive Bruno Basile - è in quella lettura stilistica che si formò «il mito del 12

"filosofo morbido", del Magalotti scrittore perduto nelle fascinazioni della "prosa d'arte", delibatore di sensazioni raffinate, e "odorista" salottiero, promotore di una cultura rococò»2 • Ma la nostra operazione sembra orientata ad estendere l'alone o qualche figura di quel mito anche ai Saggi di naturali esperienze: e qui si vedrebbe la provocazione, perché il testo dei Saggi è dichiaratamente escluso dalla lettura stilistica che coniuga con l'arte la «morbidezza» e la «svogliatura» secentesche, la scienza «piacevole», i «deliri» degli odori e il vario minuto «vibrare» di squisite sensazioni. Questa stilistica si applica specialmente alle Lettere scientifiche ed erudite, alle Lettere sopra i buccheri, alle Relazioni varie: qui trova abbondante materia per formare l'immagine del conte Magalotti scrittore curioso e salottiero, segnato nella sua fervida estenuata sensibilità da qualche tratto decadente, come da un ante litteram propiziatorio. Nella stessa materia o in materie affini il Magalotti compose la lettera e gli oggetti - come un «abisso di luce odorosa», una «tripla allianza d'aromatico, di nobile e di gentile», una mente che, «risoluta» in un «bagno di piacere», e riscattata, «come in un ratto», dall'esteriorità dei sensi, «si ricuoce, per così dire, nella purità della propria essenza»3 -delle sue estasi sensoriali; e questo complica la questione, e comincia a far sospettare un limite del gusto, dell'analisi, nella tendenza a collocare i Saggi di naturali esperienze, e magari anche le Lettere familiari contro l'ateismo, fuori del territorio delle prove e delle espressioni originali. E pensare che i Saggi sono uno dei pochi libri che al Magalotti riuscì di portare a termine, e l'unico che pubblicò, non senza angustia e qualche neghittoso disgusto, per le sollecitazioni e gli appunti che gli facevano gli amici e gli accademici del Cimento, che così lo risarcivano della fatica che gli era costato, a scriverlo e riscriverlo con tanta cura e invincibile ambizione per la forma. Appunto, si dice, la redazione dei Saggi fu sottoposta alla 13

duplice disciplina galileiana: disciplina del metodo sperimentale e della lucida elegante lezione toscana; e poi si dice, correndo il rischio di contraddirsi, che questo è il libro della formazione del Magalotti, il quale però, nel maturare la sua sensibilità «gelosissima» - come lui la chiamerebbe - e la sua indole di ricercatore dilettante, arriverà quasi a dimenticarsi delle ragioni e dell'applicazione testimoniate dal suo lavoro di segretario dell'Accademia del Cimento. Così lo si prende alla lettera quando dichiara che la sua «ambizione maggiore» è di «ricercare e comunicare certe notiziette un poco pellegrine e galanti, tagliate a sollecitare certi genii gentili, o più tosto svogliati»; e magari si raccoglie la confidenza del conte in un'antologia di Scritti di corte e di mondo4 , e non s'intende la sua ironia, il tratto "svogliato", appunto, con cui dissimula, in quelle stesse parole, un interesse (un penchant, direbbe lui) meno effimero e un suo «abito indagatore»5 • In realtà, bisogna ridiscutere l'ipotesi e le valenze della «lettura stilistica»: a noi sembrano .elusive rispetto alla stessa cifra dello stile, inadeguate alle materie (o si può dire, con Barthes e Lacan, alla «consistenza») e al senso che questa può attingere nei testi. La lettura insiste nei rilievi e nel gusto dell'espressività, in cui tende a rappresentarsi (e a ridurre) tutta la sostanza dello stile; la sua "curiosa" unilateralità arriva ad annettersi la stessa curiosità degli scritti del Magalotti, e in qualche modo a contraffarla, fissandosi sulla sua prima inequivocabile manifestazione: sulla natura e la percezione degli oggetti, sull'elegante varietà e finezza dell'osservazione, sulla for:­ ma immaginosa di certe trascrizioni analogiche e astratte dell'esperienza sensibile, sulla grazia da cui sono «sfiorate» anche le pagine «più labili» e «di carattere prevalentemente documentario»6 • Proprio sotto i segni e il valore della «grazia» si riconduce l'opera del Magalotti, quando si vuole districarla dal modulo interpretativo - scorretto e davvero miope - 14

dell'enciclopedismo e dalla relativa illazione di superficialità, e perfino quando si vuole sottrarla al rilievo morale del giudizio di libertinismo. Le qualità e gli elementi compendiati dalla grazia sono di natura squisitamente formale: Emilio Cecchi, che più nitidamente l'ha percepita nella scrittura delle Lettere e delle Relazioni magalottiane, vi ha distinto «modi che già sembrano impressionisti e simbolisti»7 • C'è chi contesta, nell'ideazione o in qualche particolare rilevante, il ritratto tutto letterario del Magalotti, e, pur riconoscendo- com'è pacifico- che il segretario dell'Accademia del Cimento «non va sottratto alla letteratura», cerca di riscattarlo «alla filosofia della scienza e alla storia delle idee», mettendo «a nudo» e quasi estrapolando dallo stile motivi profondi di riflessione e d'impegno culturale: come certo «gassendismo serpeggiante» nella scrittura, un'adesione problematica alla «filosofia corpuscolare», i tratti vividi e nuovissimi di una robusta speculazione in materie gnoseologiche e cosmologiche8 • Ma nel lavorare per questo riconoscimento, più che dovuto al filosofo morbido, si trascura spesso- con una certa impazienzala posizione del soggetto espressa, nella struttura di ogni enunciato, dagli elementi e dalla scansione della lettera. Questa, negli scritti del Magalotti, mantiene ai contenuti del messaggio e agli stessi oggetti rappresentati i segni della loro intuizione, della loro scoperta; segni individuali, che possono evocare o riflettere una situazione, un'attrattiva provata nello sperimentare, un episodio di lavoro, il duttile elemento delle tecniche impiegate nella ricerca, l'artigianale e sagace versatilità di un preparativo, di una strumentazione. Sono questi segni a chiamare l'a-· nalisi a una prova interessante, perché sembra che appartengano, non tanto alle modalità del lavoro del testo e della sua «manifestazione», quanto alle funzioni e alle strutture peculiari del discorso, e precisamente al singolare risalto della forma - in ordine alla significazione e ai suoi 15

stessi oggetti - in un «discorso scientifico» che non si dà mai «allo stato puro»9 • Ma non si tien conto di questo risalto nel tradurre il messaggio magalottiano in astratte figure di pensiero: l'identificazione delle «soluzioni linguistiche e stilistiche» d'ispirazione galileiana e l'appunto su certi modi «apparentemente svagati» di condurre l'osservazione, come fosse proprio una notizietta, niente più che un pretesto per conversare amabilmente, non adeguano certo le strutture significative e le funzioni della forma, che di fatto viene ridotta ai termini di un'«imbottitura letteraria», col suo «fascino» (un po' frusto), cui si aggiunge il fascino nuovo del Magalotti «recuperato alla filosofia e alla scienza»10. Così, con questo estrapolare e denudare i termini concettuali e gli «argomenti», si vanno alterando poco o tanto il senso e il valore delle investigazioni del Magalotti e lo stesso connotato della sua serietà intellettuale; col rischio di compromettere anche l'interpretazione più sicura e complessa del suo pensiero, quella che Giorgio Spini ha costruito esaminando i segni di un'«adesione senza residui alla cultura critica, razionalistica, scientifica» dell'Europa del tempo, le espressioni di un relativismo meditato ed arguto, che congiunge una «fiducia tranquilla nel progresso delle scienze» col pensiero costante della provvisorietà dei loro risultati, e il cattolicesimo delle Lettere familiari contro l'ateismo, che «a buon diritto può dirsi antenato di quello "illuminato" dei cattolici progressisti del Settecento [...] o di quello liberale del Risorgimento»11. Sta di fatto che negli scritti del Magalotti i soggetti e l'impegno del pensatore non si possono separare dalla caratteristica letteraria della loro espressione: questa li compenetra della propria modulazione, delle proprie qualità, e li segna fin nella concezione e nei fondamenti. Una più sicura interpretazione stilistica svolge le forme di questa unità e ne svela l'origine, magari identificando 16

con «l'interno di una specola vibratile e subiettiva», indicato da Ezio Raimondi12 , il luogo dell'ispirazione e del linguaggio. Si designi pure l'origine diversamente; quello che conta è riconoscere quel segno soggettivo dell'«estasi sensoriale», che negli scritti del Magalotti può coniugare motivi d'indagine, speculazioni, dati dell'osservazione e delle esperienze, forme di sapere. Il Giintert, ripercorrendo la traccia storica de La formation de l'esprit scientifique di Bachelard, ha individuato la natura e il potere di questo segno, e ha mostrato come la stessa posizione del soggetto, che cerca continuamente di riconoscersi nella forma estatica delle proprie sensazioni, liberate da ogni peso materiale, e come purificate, per così dire, dagli elementi dell'origine, esprima una dimensione sociale del pensiero e della ricerca scientifica. L'estasi sensoriale proverebbe che il segreto dell'universo non può essere penetrato; e la sua stessa particolareggiata manifestazione - nella scrittura - significherebbe la crisi della nuova scienza e il suo ripiegare verso il relativismo, come in un sapiente "disinganno"13: che potrebbe essere il senso più profondo del morbido dilettantismo e della svogliatura del filosofo. Oltre la suggestione dell'occasionale e del frammentario, oltre la cernita delle dilettevoli sperimentazioni, si possono dunque scorgere le linee di un'etica del sensitivo, vale a dire una coerenza e un processo dimostrabili secondo un ordine, nel quale rientrano a pieno titolo i Saggi di naturali esperienze e il rilievo dei rapporti e degli svolgimenti testuali con cui si legano alla varia produzione delle lettere e delle relazioni. <<Sperimentare e narrare» Era-l'unico compito dell'Accademia del Cimento, secondo la dichiarazione posta dal Magalotti, suo segreta17

rio, nel proemio a' lettori dei Saggi. L'accademia fu sciolta nel 1667; il libro del Magalotti, uscito nello stesso anno 14, presentava «i primi saggi delle naturali esperienze» che, «per lo spazio di molti anni» - dieci esattamente-, si fecero in quell'accademia, della quale appunto l'«unico istituto» - e s'intenda il compito e l'attitudine - era «di sperimentare e narrare». Si dichiarava questo anche con l'intento di scongiurare il sospetto e l'oculatissima inchiesta che s'attiravano le «cose specolative»; il libro che registra- a firma «Il Saggiato segretario»- una parte del lavoro di quei dieci anni al Cimento, non ne contiene, e ascrive «qualche minimo cenno» speculativo e filosofico, che non ha potuto evitare, alla responsabilità personale dei singoli accademici. Ma il compito del Cimento era proprio quello, come risulta dai Saggi, i quali, del resto, continuavano (e continuano) a svolgerlo per quanto attiene al narrare. I Saggi di naturali esperienze sono stati giudicati «il più insigne monumento che sia stato eretto alla scienza sperimentale italiana»; e a giusto merito, osserva Mario Praz, soprattutto «per l'eleganza della cristallina esposizione»15. Il giudizio accerta, in nuovi caratteri e oggetti, il compito collettivo. Il monumento prende forma nella prosa della testimonianza e della narrazione: le esperienze raccontate concorrono in un motivo unitario, se non in una trama, compongono la storia di un «progresso de' nostri studi». È questo il senso generale dell'opera; ma il compito diventa speciale, e assume si può dire i caratteri di una vocazione, nel soggetto della «narrazione»16:. un segno individuale scende fino ai singoli oggetti, trasporta dalle forme della «cristallina esposizione» delle esperienze fino all'interno della definizione, fino a questo punto scientificamente decisivo, articolazioni e dettagli narrativi. Nei preliminari di una dichiarazione d'alcuni strumenti per conoscer l' alterazioni dell'aria derivanti dal caldo e dal 18

freddo si vuol dare «esatta notizia» e cognizione del potere di queste alterazioni, e si dice per metafore: Imperciocché assorbendone ella [l'aria] dentro 'l suo seno le cose tutte e sopra di esse dalla sovrana altezza di sua regione piombandosi, tutte sotto 'l torchio dell'aria gemono, ed alle strette più o meno gagliarde che ricevon da essa o respirano o maggiormente oppresse rimangono. (p. 63)17 Il dato scientifico consiste tutto nella morfologia di una narrazione immaginosa. I tratti lessicologici danno la personificazione dell'elemento, le sue azioni e i relativi oggetti: l'assorbire, dentro il proprio seno, tutte le cose, il piombare da regione sovrana, le strette del suo torchio; per tratti affini le cose gemono, e respirano o rimangono oppresse. Ogni tratto è già scandito da un tempo e da una funzione di questa morfologia: col gerundio della durata e del modo, con l'indicativo degli effetti. E il legame e l'ordine di tutte le unità formano uria sequenza logicotemporale di eventi, secondo la formula di ogni fabula. In questa «notizia» non si discerne altra formula o modalità. La lingua dell'opera, dunque, ispirata dall'intento collettivo di rammentare e narrare quanto sperimentato, è segnata e come ricreata negli elementi, in ogni particolare della lettera, dall'indole del soggetto della narrazione. Questa in ordine al racconto- come abbiamo detto-manifesta la duttilità e la prontezza di una vocazione; e si può spiegare considerando la posizione del soggetto nei confronti del reale. Dal centro dell'esperienza sensoriale, dall'interno di quella «specola vibratile», il soggetto è chiamato ad affabulare le presenze, le forme percepibili, le qualità delle cose, a proiettarle, non nell'astrazione di un segno matematico o di un concetto, ma nello svolgimento- mimetico, analogico - di una rappresentazione, un frammento di storia, in cui prima di tutto egli cerca la 19

· possibilità di conoscere se stesso. Nel lavoro scientifico qui registrato di pagina in pagina con tanta accuratezza, il valore tempo è logicamente oggetto di considerazione e di calcolo e costituisce le misure . o gli ordini di misure occorrenti in molte esperienze; misure scandite da vari strumenti, che sono «più sottili sminuzzatori del tempo» dei «più squisiti orivoli», e dei quali si danno la dichiarazione e la figura. Ma ci sono i valori temporali compenetrati dalla scrittura: sono formazioni e scansioni di un «tempo umano», disseminate nel testo, percepibili anche in minimi frammenti. Talora è possibile riconoscere questi ·valori in precise funzioni mimetiche di racconto, attinenti al rilievo storiografico (al «costume di storicamente narrare») dei Saggi, in veri e propri «modi referenziali», che «rifigurano» - la problematica di. Ricoeur potrebbe confermare - il «tempo umano»18• Per dire, invece, una percezione dello stesso tempo meno distinta, ma efficace e diffusa nel lavoro del testo, si possono enumerare dettagli come un valore lessicale, un sintagma, la denominazione analogica di qualcosa che si noti o si scopra, il rilievo che assumono alcuni vocaboli e il loro rapporto in un enunciato, in un periodo, alcuni modi, tra i tanti, in cui la funzione diegetica - fuggevolmente o con segno più sicuro - sottentra alla formulazione del concetto, all'indicazione del dato scientifico. Si osserva uno strumento di cristallo «che serve per conoscere le differenze dell'umido nell'aria»: Quivi adunque il sottilissimo umido che è per l'aria, invischiandosi a poco a poco al freddo del vetro, prima a modo di sottil panno lo vela, indi per l'avvenimento di nuovo umido in più grosse gocciole rammassato fluisce e giù per lo dosso sfuggevole del cristallo sdrucciolando, a mano a mano distilla. (p. 73) Le differenze da stabilire sono oggetto di calcolo matema20

tico, e del resto l'addensarsi dell'umido sul vetro è attentamente seguito nelle varie fasi. Eppure proprio questo calcolo si svolge nei segni di un tempo che appartiene al soggetto della narrazione. Questi distingue la prima fase nell'atto in cui l'umido vela il cristallo a modo di sottil panno, e rileva nella seconda qualcosa di vano - di umano, appunto - come una resistenza dell'elemento, che ormai è rammassato in grosse gocciole e sdrucciola giù per un dosso sfuggevole, e distilla, mentre il cursus lo accompagna nella caduta. Una durata di tempo umano può essere la cosa che risalta all'improvviso in una esperienza che per sua natura non la prevede, per esempio la «stravaganza» - detta per inciso, come una motivazione - di un termometro diviso in 50 gradi che, certi inverni, fece scendere molto in basso la sua acquarzente; lo si sta confrontando con un termometro «diviso in 100 gradi»: quello ne' maggiori stridori del nostr'inverno si riduce a 17 e a 16 gradi; questo ordinariamente a 12 e 11, e per somma stravaganza un anno è arrivato a 8 e un altro a 6. (p. 67) O può essere, quella durata o connessione, la forma narrata assunta con naturalezza da un'osservazione scientifica, da un'ipotesi, da una deduzione, come questa che si trae dal movimento, attentamente sorvegliato e marcato, del mercurio in una canna. Questo, contenuto in un vasetto nel quale è stata «attuffata» la canna, è sottoposto a un carico d'acqua e subito si solleva dal punto I al punto O (come mostra nel libro la figura), e si mantiene a quel punto della canna anche quando resta poca acqua a premerlo perché è stata «stuccata» la bocca del vasetto; ma è acqua pressata in antecedenza da tutto il carico; se ne deduce, appunto, che l'acqua rinchiusa nel vasetto, non «per forza si molla», cioè per una elasticità che dovrebbe «per avventura» possedere, ma per quella pressione 21

bada a tenervelo [il mercurio] a forza e a contrastargli il ritorno. (p. 92) Si può scorgere -nell'argomento scientifico una micrologia di animazioni narrative: l'impedimento dell'acqua, che trattiene a forza, e bada a questo; la riluttanza dell'altro elemento sottintesa dal ritorno contrastato. Questi valori temporali si riproducono in una significa- . zione più minuta, che arriva dappertutto, per i tratti connotativi del lessico, che, come s'è visto, concorrono a determinare le forme affabulatorie, ma possono anche arrestarsi a una funzione indipendente, formare un tono, una coloritura, senza alterare la struttura dell'enunciazione scientifica. È il caso dei «maggiori stridori del nostr'inverno», appena incontrati; ma questa significazione è incessante, e risalta soprattutto in una denominazione particolareggiata, studiatissima eppur familiare degli oggetti e degli strumenti, delle loro qualità, degli effetti più comuni delle naturali esperienze: termometri gelosi o sdegnosi, per dire sensibilissimi, o pigri e infingardi, per dire il contrario, ma anche squisiti, se particolarmente idonei e pronti a complicati rilevamenti; uno spirito di vino (o acquarzente) sottilissimo, che non perde mai «quel fiore di limpidezza»; gli orologi già citati come sottili sminuzzatori del tempo; una palla di vetro con prolisso collo , piegato in spesse rivolte, di soave salita; la fiammella d'una candela che asoli (rigiri) attorno alla palla per «mettere 'n fuga» l'acquarzente in essa contenuta; un'altra palla di cristallo che va a morire «in un beccuccio assai lungo»; l'umido che geme dal cristallo di uno strumento e, così gocciolando, pena più o meno, vale a dire impiega poco o tanto, a riempire un bicchiere; un minimo venamento di gielo che ci si aspetta di vedere in un'acqua, nel «cercar notizia del tempo preciso dell'agghiacciare». E così via, con questo linguaggio, che pur significa distintamente le materie e le tecniche della sperimentazione, mentre tenta 22

e muove ogni particolare in una storia minima, la quale, si potrebbe dire, non va oltre la lettera di un nome, di un attributo, di un verbo. A sceglierli è un autore cui certi riflessi di cruscante non impediscono di passare al vaglio e di ravvivare inerti elementi metaforici del toscano familiare. In non poche pagine, fitte di questi particolari, par di percepire il movimento, i gesti esatti, in meticolose operazioni, le linee singolari e vive degli strumenti, le prove ingegnose nel progettarli, la perizia e la segreta curiosità con cui sono costruiti e maneggiati. Del resto, la voce narrante si forma spesso dentro l' esperienza, e la svolge in vicende aleatorie, in alternative, addirittura in elementi di suspense. La forma canonica dell'esposizione dovrebbe essere quella prescrittiva e conativa; come l'ordine del rapporto scientifico è prodotto e suddiviso dalla rubrica dei fenomeni: la «natural pressione dell'aria», «esperienze varie fatte nel voto», «accidenti di diversi animali messi nel voto», gli «artificiali agghiacciamenti», il «ghiaccio naturale», il variare della «capacità de' vasi di metallo e di vetro» per il caldo e per il freddo, la «compressione dell'acqua», le prove che «non v'è leggerezza positiva», la «calamita», la «virtù elettrica» dell'ambra e di altre sostanze, «alcuni cambiamenti di colore in diversi fluidi», i «movimenti del suono», i «proietti». Ogni esperienza si dovrebbe dare come cosa definita, come dimostrazione, da seguire, da ripetere, perfezionare, continuare, dimostrando meglio, scoprendo ancora. «Sia la canna di cristallo A B C lunga intorno a due braccia ed aperta solamente in C. Empiasi per di quivi d'argentovivo, e serrata o con applicarvi un dito o con vescica alquanto inumidita e fortemente legata, si capovolti e tuffisi leggiermente nell'argento del vaso D E e s'apra»; «Egli [lo strumento] è un tronco di cono formato di sughero, per di dentro voto e impeciato e per di fuora soppannato [foderato] di latta. Dalla parte più stretta va inserito in una come lampana di cristallo, prodotta ancor 23

essa a foggia di cono, con punta assai aguzza e serrata. Preparato in questa forma lo strumento e collocato sul suo sostegno, s'incomincia ad empiere per di sopra di neve o di ghiaccio...»; «Leghisi una vescica come AB C sotto la palla D, e fatto in essa il voto, s'arrovesci 'n su, sì che venga a fasciarla. Dipoi con una verghetta di cristallo...»; «Si fermi con lo stucco a fuoco una lente di cristallo come AB su la bocca del vaso AC, la qual bocca abbia l'orlo alquanto arrovesciato in fuora e spianato... Si faccia il voto, e fatta buia la stanza, s'accosti una candela accesa»; «Nella palla del vaso AB s'attacchi una pastiglia nera o altro bitume di colore scuro, in cui il fuoco agevolmente s'apprenda. Di poi, fatto il voto, si procuri d'accenderla allo splendor del sole con lo specchio ardente. Vedrassi...». Tutto è detto come è fatto e si fa; non c'è niente da ricordare, da evocare. I Saggi però s'addentrano spesso nel tempo dell'evocazione e del racconto, e riportano l'esperienza e la sua dimostrazione come una storia. Ci risolvemmo finalmente a far gettare [fondere] una palla d'ottone tutta d'un pezzo della grossezza in circa di due piastre, la quale non avesse altra apertura che da piede, ma in guisa da potersi serrare con una saldissima e perfettissima vite. A fine poi di poterne cavar intera la palla del ghiaccio, vi facemmo delicatamente accennare all'intorno un graffio, sul quale subito seguito l'agghiacciamento, rimettendola in sul torno si potesse segare. Questo però fece all'acqua un giuoco mirabile... Qui non si leggono prescrizioni; si vede invece un progetto, come nasce, un lavoro mentre si svolge - perché la voce narrante è lì, dentro l'esperienza: ci risolvemmo finalmente a fondere una palla d'ottone così e così; e sembra proprio una risorsa del momento, come la saldissima e perfettissima vite e quel graffio appena accennato. Po24

trebbe andar bene; ed è un segno del soggetto della narrazione - un tocco lieve, adeguato - a rilevare la suspense: quel graffio fa meravigliosamente gioco all'acqua, che è un agente personificatissimo, vediamolo all'opera: quando volle agghiacciare si fece di quivi a schiantarla, valendosi di quella insensibil disuguaglianza che quel leggerissimo taglio aveva indotto nella grossezza del metallo. L'acqua ha deciso il punto e il momento; ha una tattica sagace, quando vuole agghiacciare, e sa sempre il luogo dove l'attacco le torna meglio. Le restanti operazioni entrano nella trama accidentata dell'esperienza come una fallimentare (ma scientificamente istruttiva) corsa ai ripari: Per lo che rifattasi un'altra palla e senza punto indebolirla in alcuna parte messa nel ghiaccio, scoppiò nondimeno ancor essa come tutte l'altre (che furon molte) in quel luogo che di man in mano dovette tornar meglio all'acqua il farle crepare. (p. 166) Una trama, si dice; in alcuni punti del libro sfumano anche i segni della rubrica e della suddivisione, e sottentrano precise scansioni narrative, perché le esperienze si collegano e formano un episodio esteso di progettazione, di ricerca. A questo punto, per esempio, leggiamo: Si provò per ultimo con una palla di finissim'oro... Ed è l'inizio della relazione sul nuovo esperimento - il sesto degli artificiali agghiacciamenti fatti «per conoscer se l'acqua si dilati nell'agghiacciare». Negli innumerevoli passaggi dagli enunciati «atemporali» dell'oggettivazione scientifica alla configurazione 25

temporale dell'esperienza e degli stessi dati della dimostrazione s'identifica l'istanza narrativa, che anche noi chiamiamo «voce», come consiglia Genette per poter adottare «connotazioni psicologiche un po' (pochissimo, ahimè!) meno evidenti». L'importante è rilevare che anche l'enunciato dei Saggi di naturali esperienze spesso non si lascia decifrare «senza che venga preso in considerazione chi lo enuncia, e in quale situazione egli lo enunci»19• Non ci pare neppure che sia davvero atemporale un enunciato come questo: Le perle e 'l corallo (com'ognun sa) nell'aceto stillato si solvono. Nelle frasi al presente, che subito lo seguono, si possono scorgere i segni di una narrazione così vicina al suo oggetto, così intenta e «partecipante»- per usare un termine di Benveniste-, da svolgersi come simultanea; segni o impressioni di una «determinazione temporale dell'istanza narrativa », per cui ci sembra di vedere, per queste frasi che si annettono l'enunciato e i suoi oggetti- le perle, il corallo, l'aceto-, un'esperienza mentre è in corso: Fassi però quest'operazione nell'aria con gran lentezza e consiste in un finissimo scioglimento di bollicelle minutissime, le quali da' corpi delle perle e del corallo medesimo si veggono sollevare. Le precise flessioni superlative delle qualità dello scioglimento e delle bollicelle suonano istantanee, ed è come se l'effetto di simultaneità si dichiarasse in quel si veggono coniugato per il soggetto della narrazione e per noi lettori. Del resto, l'esperienza continua con l'osservare- si direbbe per il tempo di osservare-il modo in cui le bollicelle vengono a galla, e se la trasparenza dell'aceto si guasti, e come il corallo-questo corallo, non polverizzato finissimamente - si sciolga più lentamente delle perle: 26

Queste però [le bollicelle] non vengono così folte che la trasparenza dell'aceto per esse s'alteri, e particolarmente dal corallo, il quale ove non sia finissimamente polverizzato si risolve più a stento. Più tenere son le perle, onde la copia delle bollicelle in esse è maggiore. (p. 145) Per questo ritmo frequente dell'istanza narrativa può accadere- come s'è visto - che l'esperienza si svolga per incidenti più o meno puntuali, ma scientificamente rivelatori: cose che capitano e che valgono- sostituiscono nel testo- la modalità e la lettera della dimostrazione. Eccone uno non provocato, un incidente vero e proprio, raccontato a distanza di tempo, sebbene il soggetto della narrazione sia dentro l'esperimento e partecipante. Bisognava mettere un «pezzuol di neve» in un vaso pieno del solito argentovivo, per osservare la velocità con cui la neve si scioglie nel vuoto; una prima volta l'esperimento aveva dato una velocità incredibile; bisognava ripeterlo: si prese un pezzo di neve più grande, «formato rozzamente in cilindro», e si cercò di spingerlo sotto il mercurio contenuto nel vaso, per poi fare il vuoto: Ma essendo, non so come, scappato di mano a chi l'immergeva e sì ritornato a galla, si vedde che in quel solo atto d'immergerlo, l'argento n'avea mangiata una gran parte, l'acqua della quale si vedeva tornare a galla sopra 'l medesimo argento. Così ci accorgemmo che quel che aveva strutto sì velocemente il piccolissimo pezzuol di neve nella prima esperienza era stato l'argento e non altrimente il voto, sì come pareva a prima vista. La forma narrativa segna con gli elementi minuti del suo . lessico fino i dati da registrare scientificamente: si scopre che l'argentovivo mangia la neve, e allora si può concludere che questa per sciogliersi nell'aria e nel vuoto ha bisogno dello stesso tempo; infatti: 27

Rituffato il suddetto cilindro, serrato il vaso e fatto il voto, quel poco d'avanzo si vedde liquefare con la stessa lentezza che suol far nell'aria. (p. 144) Anche la problematica e il metodo della ricerca possono essere destinati a uno svolgimento narrativo da un modello o contesto di «mediazioni simboliche»20 • Certo in questa destinazione risultano pienamente leggibili. La ricerca si può rappresentare come un cammino del nostro intelletto «al conseguimento del suo desiderio»: e in questi termini se ne intende di fatto la necessità e il valore; con la stessa nitida leggibilità si possono rappresentare gli ostacoli e l'insidia che la ricerca incontra quando all'esperienza non si congiunge, sul cammino, «alcun lampo di geometria» (i due princìpi costitutivi del nuovo metodo); così si possono asseverare anche la costanza e !'«ardire» della sperimentazione, parlando di desiderio e di una qualche misura di appagamento: Pareva oramai stabilito a bastanza il concetto del Torricelli del premer dell'aria sopra le cose inferiori. Il che, quantunque sia ardito e pieno di pericolo ad asserire di quelle cose ove a' nostr'occhi alcun lampo di geometria non risplende, pure né l'ardire è mai sì degno di scusa né 'l pericolo è più sicuro a schivarsi che allora che solamente per via di molte e tutte concordi esperienze cammina nostro intelletto al conseguimento del suo desiderio; al quale tuttoché alle volte non giunga, pure nell'appressarsegli tanto quanto s'appaga. (p. 118) Un diverso stile Il linguaggio del racconto non si allontana mai dalla traccia del metodo, dal valore scientifico delle esperienze. Mantiene questa fedeltà anche nei suoi elementi metaforici e 28

analogici, anche nei più piccoli dettagli; e ogni volta, per segni puntuali, induce nella lettura la certezza che niente - niente di essenziale-dell'allestimento dell'esperienza e del suo processo, della tecnica, d�lla dimostrazione, niente di quanto s'è scoperto è andato perduto o è stato alterato. Le materie degli accidenti vari di diversi animali messi nel voto, che si prestavano particolarmente ad una elaborazione favolosa, sono svolte da un efficace racconto in un'inconfondibile aura di lavoro scientifico, con l'annotazione colorita quanto precisa di ogni gesto, col disegno degli strumenti e del loro impiego. Un «diligente notomista» ha aperto il torace di un ranocchio morto nel vuoto: Da principio non se gli trovavano i polmoni, tanto erano raggricchiati in se stessi per votamento d'aria. Pure, soffiando per un fil di paglia in quel meato ch'egli hanno sotto la lingua per pigliar fiato, si dispiegarono; onde si vedde che la maggior parte dell'aria che v'era dentro quando l'animale fu rinchiuso, era venuta fuori a goder il benefizio di dilatarsi nello spazio voto senza lesione alcuna de' suddetti vasi, perocché gonfiati non isfiatavano. (pp. 151-152) Anche la lettura di questo passo, e di tutta l'esperienza delle peripezie di «piccoli e delicati animaletti» (pp. 147-155), è portata a incontrare il soggetto dell'esposizione, che pure non si dichiara, e a identificare nel passato del racconto elementi reali di tempo- che possono essere «il moto, il volo, il respiro ed ogn'altro accidente» patito da quegli animalettiin rapporto al tempo di colui che racconta. Le cose della scienza sono tutte a posto: qui, i polmoni di un ranocchio raggricchiati, il filo di paglia per soffiare, il punto di quel meato, i vasi che si dispiegano e non sfiatano, il referto negativo sulle lesioni. Ma nella forma dell'enunciazione, nella sua stessa esattezza, si distingue lo sguardo del soggetto, 29

che tocca e rileva tutti i particolari e piega ogni cosa al movimento nella propria articolazione. Così l'esattezza è, prima di tutto, il segno di una percezione individuale, e si manifesta anche per espressioni metaforiche, come quella che designa il movimento dell'aria - «venuta fuori a goder il benefizio di dilatarsi»-, rivelando la sensibilità del soggetto proprio nel precisare la condizione di un fenomeno, il suo stesso spazio. Lo stile va in profondo, al nesso di visione reale ed espressione, e compenetra tutti i livelli del messaggio, tutto il lavoro della lettera: non si apprende solo dalla facoltà e dai modi della «cristallina esposizione», dai caratteri formali della «grazia». Il suo valore - in un segno, in una modulazione - può estendersi anche alla sostanza della definizione scientifica: sopperire all'astrazione concettuale, alla formula non ancora postulata. In un «argomento» che si trae dall'indagine negli organi degli animali interviene una cifra narrativa formata da un linguaggio familiare, come se la prova scientifica confermasse un'immaginazione che si fa di frequente per cose cui non arrivano gli occhi. Soffiando in un «cannellino», si gonfiò la «vescica» di «una lasca morta nel voto», ed «ella tenne benissimo il fiato»: Prova assai bella per trarne chiaro argomento che l'aria senza rompere sa tuttavia ritrovare alcun passo, cui la debolezza non giugne degli occhi nostri. (p. 154) Una conclusione sbagliata, ma formulata con rigore, arriva a definire un ipotetico condensamento dell'acqua, «nell'agghiacciare», come una «paura», per la quale l'elemento si serra addosso il coperchio del vaso in cui è chiuso, fino a schiantarlo: 30 essendo violentata dalla virtù del freddo a ristrignersi in minore spazio, essa per paura di lasciar

voto il luogo di cui andava a mano a mano ritirandosi, era sempre venuta serrandosi addosso il coperchio, finché non potendo quello distendersi maggiormente era venuto a schiantarsi. (p. 159) La traccia diegeticà., nel cuore dell'argomento, è di una coerenza evidente: lega insieme la violenza del freddo, la paura dell'acqua nel ritirarsi, l'incrinatura del mezzo, «affossato in dentro». L'istanza narrativa investe con le scansioni e i dettagli più diversi della lettera - come s'è visto - anche le forme degli oggetti e i termini e la struttura delle stesse definizioni. Ricorre in costruzioni ibride, che se pur non danno indizio di «plurivocità» e «pluridiscorsività» romanzesche, tuttavia, per i requisiti formali, corrispondono pienamente al modello individuato da Bachtin; si può dire, infatti, che anche per queste costruzioni di un discorso di scienza il «giro» di una semplice proposizione, «spesso persino una stessa parola» appartenga «contemporaneamente a due lingue, a due orizzonti che s'incrociano»21. All'orizzonte collettivo, rappresentato dal compito di «sperimentare e narrare», corrisponde la lingua dell'opera: questa è toccata e ricomposta - in ogni elemento e funzione - dall'«orientamento della parola», per il quale il narrare assume caratteri e frequenze singolari, e penetra, per sottili e tenaci elementi, fin nell'intimo delle cose sperimentate, nella struttura delle nozioni scientifiche. La produzione della forma e del senso dipende spesso da questo incontro del1'orizzonte individuale con l'orizzonte collettivo, da un angolo di rifrazione, che si può approssimativamente rappresentare col modulo di Bachtin: «Il prosatore si serve delle parole già abitate da intenzioni sociali altrui e le costringe a servire le sue nuove intenzioni ... Perciò le intenzioni del prosatore si rifrangono, e si rifrangono con angoli diversi...»22. Basta sostituire (o precisare) le «intenzioni sociali» con quell'«istituto», vale a dire con l'attitudine collettiva 31

dell'Accademia del Cimento; e le «intenzioni del prosatore» con qualcosa di meno definito, come può essere l'indole o quello che nella sua parola si riflette- intenzionalmente o meno- della sua posizione in rapporto al reale. Per questo formarsi della parola individuale nella sensibilità e nel carattere, più che nelle intenzioni, la rifrazione del senso non va tanto verso l'oggetto, quanto verso lo stile dell'enunciazione. E l'abbiamo seguita- studiando la stessa inclinazione della lettura e la sua traccia- in questo orientamento. Ora ci fermiamo a una considerazione che sembra compendiare il senso dell'affabulazione dell'esperienza scientifica, e svelare in qualche modo il segreto della sua investigazione immaginosa dei procedimenti, delle tecniche, delle stesse cose che man mano si scoprivano o si accertavano. Il segreto è un fervore suscitato non solo nell'intelletto, ma anche nell'immaginazione e nei sensi, dal «magistero di cui si val la natura» per ogni cosa. Qui si cerca la «ragione dell'agghiacciare»; e lo si fa con un'indagine favolosa, perchè può trattarsi di una sostanza «positiva»: il testo accenna a una residenza nell'aria, nelle acque o nel ghiaccio, all'arcano di un luogo del mondo in cui si fa tesoro di questa sostanza, come del fuoco e della luce nella miniera del sole; produce questa narrazione, prima di formulare- in una tautologia- la semplice definizione negativa del freddo. Anche nell'annoverare i biblici tesori della neve e della grandine la voce narrante incalza il magistero della natura, il quale per ogni punto si svolge in molteplici forme e qualità, e ne significa prima di tutto il mutamento: 32 Intorno poi alla ragione dell'agghiacciare sono andati in ogni tempo variamente speculando gl'ingegni se ciò veramente nascesse da una sustanza propria e reale del freddo (che positiva dalle scuole si chiama), la quale, sì come il fuoco e la luce nella miniera del sole, così anch'ella o nell'aria o nell'acque o nel ghiaccio avesse sua particolar residenza o in qualch'altro luogo del mondo se ne facesse con-

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