Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

costrittivi».4 Certo, la «veracità» di cui parla Duby non è il medesimo concetto della «verisimiglianza» aristotelica, e più ancora si distanzia dalla «finzione» di Luciano di Samosata; ma le precisazioni dello storico valgono soprattutto a mettere in questione - secondo una trama critica che regge tutto il suo dialogare- la illusione, tutta romantica e positivista, di poter ricostruire senza buchi e vuoti, la «realtà», la determinata realtà di un evento passato, in tutte le sue molteplici e complesse determinazioni e risultanze. Non ne può, pertanto, che risultare la forte accentuazione da parte dello storico francese, della soggettività di chi scrive la storia,5 cui l'attenzione allo «stile» personale di scrittura appare immediatamente consequenziale. Né è casuale che tale richiamo alla soggettività induca Duby a far presenti i possibili apporti della psicoanalisi e della nozione di «desiderio». Tanto meno sorprende che egli possa affermare - riconosciuti, ad esempio, i meriti di un Michelet- «Detto ciò, nelle capacità di far rivivere il passato trovo più straordinario Victor Hugo. Non parlo del Victor Hugo di Nostra Signora di Parigi ma di quello dei Miserabili o delle Cose Viste. È Galbert de Bruges: notazioni folgoranti sul presente. Ma anche la resurrezione del passato: la battaglia di Waterloo, nei Miserabili, è prodigiosa; c'è tutto: il sogno, la verità. Da quelle ceneri che Michelet attizzava pazientemente, e dalle quali sprizzavano piccolo scintille, qui è la fiamma che scaturisce».6 Si potrebbe forse aggiungere che lo stesso vale, poniamo, per l'immagine che Tolstoj, in Guerra e pace, ci ha dato della campagna napoleonica di Russia, o Manzoni della peste milanese del seicento? 66

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