Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

vatore come di qualunque soggetto. È vero peraltro che Kafka sembra giudicare la condizione metonimica come la più spontanea, allo stesso modo in cui altri autori, in epoche passate, consideravano naturale che la psiche riposasse sul proprio baricentro. L'errore di molti interpreti consiste nel trasformare in un obbligo quella che è invece una disposizione o una tendenza immediata: un In-der-Welt-Sein tragicomico, di cui i lettori sono propensi a scorgere un lato solo. Osserviamo rapidamente alcuni corollari di questo sbriciolamento della soggettività. Essendo imperniato su una «contiguità interna», il personaggio metonimico risulterà sempre «spostato» rispetto ad un eventuale centro decisionale. L'esteriorità va a recidere lo stesso concatenamento fra intenzione, mezzo, risultato. Ogni azione galleggia come un'imbarcazione senza remi, isolata e in balia delle onde: che essa approdi in qualche luogo, è un evento la cui registrazione non ha forza retrospettiva, è un dato che non presuppone e non giustifica alcuna «causa finale»: Era il grande onore di Frida, un onore di cui sarà fiera fino alla morte, che egli avesse l'abitudine di pronunciare il suo nome quando la chiamava, e che lei potesse parlargli a suo talento, e avesse anche ottenuto il permesso di guardare dal buco della porta; ma neanche con lei, Klamm non ha mai parlato. E se qualche volta chiamava Frida, ciò non ha necessariemente il significato che gli si vorrebbe attribuire; egli gridava semplicemente "Frida" - chi può conoscere le sue intenzioni? - Che Frida accorresse alla chiamata è poi affar suo, e se egli le permetteva di entrare senza difficoltà era per bontà sua, ma nessuno può affermare che egli la chiamasse per farla venire. 23 Non basta: l'impossibilità di stabilire una intenzionalità ha il suo corrispettivo logico nell'elenco aggiuntivo, dove 59

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