Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

stare improvvisamente i toni violacei del ciclamino; infine si trasferisce nello sguardo, intorno a cui si era ormeggiata inizialmente, ma ricordando adesso «la porpora cupa di certe rose di un rosso quasi nero». In queste ininterrotte metamorfosi il colore della pelle ha finito con l'usurpare «le farfalle azzurre degli occhi»; d'altronde, lo sguardo non era in precedenza fuggito dai luoghi «in cui la carne si fa specchio, dandoci l'illusione di lasciarci... accostare all'anima» e non si era forse manifestato attraverso la carnagione «divenuta fluida e vaga»? «La nostra conoscenza dei volti» - aveva scritto Proust nelle pagine precedenti - «non è matematica»: perché il colore, oltre che il dispensatore delle tinte, «è un grande ricreatore o almeno modificatore di dimensione». Ma, come si è appena sperimentato, il suo influsso non si limita alle azioni di «allargare» o di «allungare». Esso è un istigatore di metafore - e di metamorfosi: se la punta rosea del naso evoca «una gattina sorniona con cui viene voglia di giocare», i piccoli punti bruni sparsi sulla pelle avevano richiamato un «uovo di.cardellino»; il carattere liscio delle guance le fa confondere con «un'agata opalina lavorava e lucidata su due facce soltanto», oppure permette allo sguardo di scivolare come «sullo smalto di una miniatura». Così, ribadisce Proust, «prendendo conoscenza dei volti, li misuriamo, ma da pittori, non da geometri». È un'altra metafora che potrà rivelarsi essenziale: in essa potrebbe nascondersi la differenza tra un intelletto che, procedendo more geometrico, va alla ricerca di «leggi» e una ragione più flessibile, che mira alle «regole». Il mondo dello strategico13 non è forse governato anch'esso dal «colore», cioè da un modificatore perenne di ogni fatto e di ogni circostanza? Si rammenti quanto Clausewitz dice sul «camaleonte-guerra»; 53

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