Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

in tutto e per tutto conseguente questo sforzo definitorio, questa ricerca dell'espressione calzante, di un «nome motivato», che sfocia in una proposta di antonomasia? «Tutta la persona di Javert esprimeva l'uomo che spia e si cela». Il personaggio sineddochico è un personaggio ristretto, che lascia cadere come superfluo tutto quanto non concerne direttamente la sua essenza e la sua funzione;10 persino il suo corpo si ritira nell'ombra, si annulla, quando «non è necessario». È una caratteristica dell'uomo sineddochico, che Hugo intuisce e descrive mirabilmente: «Impossibile vedere la sua fronte, che gli spariva sotto il cappello, né i suoi occhi, che sparivano sotto le sopracciglia, non si vedeva il suo mento, tuffato nella cravatta, né le mani, rietranti nelle maniche, né il bastone, che portava sotto la finanziera; ma se l'occasione capitava, si vedeva all'improvviso uscire da tutta quell'ombra, come da un'imboscata, una fronte angolosa e bassa, uno sguardo funesto, un mento minaccioso, due mani enormi e un mostruoso randello»; (2) metafora INTERNA. In che senso un personaggio può somigliare a se stesso? Se appartengono alla sineddoche i casi in cui lo sviluppo narrativo è «analitico» (esplicitazione/iterazione di un nucleo costante), riguarderanno la metafora i casi di evoluzione «sintetica» (quando vi è un reale arricchimento e un'effettiva trasformazione). Gli ambiti nei quali un personaggio cambia pur restando vicino a se stesso, anzi, approfondendo il rapporto con se stesso, sono certamente quelli del «romanzo d'educazione», del Bildungsroman.11 Il XVIII e il XIX secolo forniscono gli esempi forse più celebri, da Wilhelm Meister a Frédéric Moreau. Nel Novecento, il rapporto di somiglianza con se stessi diventa più complicato, sfuggente, talora labirintico: la «crisi d'identità dell'eroe borghese» - per usare una formula notissima - fa apparire i «pas50

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