Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

dell'eroe percepisce a poco a poco ciò che sta facendosi strada nella sua anima, agli altri è dato fiutare un'eccedenza di senso che si sprigiona dai suoi gesti in modo inquietante. Così Duncan prova un oscuro disagio elogiando Macbeth: perché, pur vincendo la guerra, il re è stato «usurpato» dalle prodezze del suo campione (Serpieri 1986, p. 207); e perché il sanguinoso, feroce eroismo di Macbeth ha sovrastato la battaglia con «strane immagini di morte» (Strange images ofdeath) (cfr. Serpieri, ibid., p. 203). Per quali motivi un'analisi retorica potrebbe svincolarsi dalla rigidità dei modelli narratologici, e in che misura eviterebbe di inchinarsi al postulato di omogeneità? In questa sede, le risposte risulteranno fortemente incomplete; un dato dovrebbe tuttavia emergere, cioè la capacità di descrivere le effettive tecniche di produzione utilizzate dagli scrittori, e di scandagliare le concezioni di identità tacitamente presupposte. Nelle pagine che seguono, il lettore incontrerà qualcosa di più che non le distinzioni «personaggio aperto/chiuso», «piatto/a tutto tondo», «mobile/immobile». Il nostro modello (cfr. Bottiroli 1987a) si articola sulle metafigure (metafora, sineddoche, metonimia, negazione), con un duplice intento: da un lato. si vogliono sperimentare le metafigure come schemi organizzativi interni al personaggio, dall'altro è plausibile ampliare tale progetto alle relazioni esterne. Per ragioni di spazio, discuteremo soltanto cinque delle otto possibilità minime previste dal modello: (1) sineddoche INTERNA. Probabilmente la si incontra quando il personaggio è l'esemplare di un ceto, di una mentalità, di un'epoca, oppure quando è l'incarnazione di un valore, di un concetto: Javert, nei Miserabili, racchiude entrambe le possibilità. Due sono le tecniche più diffuse quando si tratta di pre48

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==