Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

una «drammatizzazione assoluta» (ibidem); resta da chiedersi se questa messa in scena teatralizzante, a prevalenza sintattica, abbia un accettabile valore euristico. Domandiamoci, ad esempio, se il «disaccordo tra personaggio e azione» che la critica tradizionale attribuisce ad alcuni personaggi di Shakespeare possa venir spiegato mediante il conflitto fra gli attanti che affluiscono in essi. Purtroppo la risposta è negativa: se s'intende rinunciare al postulato d'omogeneità e di univocità- generalmente condiviso dalla narratologia -, non basta ramificare il rapporto azione/agenti (o moventi). È l'azione stessa che va pluralizzata nei suoi regimi di senso. Il limite di Greimas è di ostinarsi a scorgere nelle azioni l'aspetto più oggettivo di un testo, dimenticando che la praxis si dice in molti modi. Tornando al Macbeth, uno dei suoi temi principali è per l'appunto la differenza tra atto e azione. Il primo è un agire in immagine, fantasmatico, un agire incompleto, non completabile e sempre da ripetere: Nulla è dovuto, tutto è sprecato quando il nostro desiderio si compie e non si · [appaga (Macbeth, III, 2, 5-6) Noi abbiamo tagliato, non ucciso, il serpente; si rimarginerà e sarà come prima... (III, 2, 13-14) C'è stato un tempo quando, se il cervello schizzava fuori, l'uomo [moriva, e tutto era finito; ma ora risorgono con venti ferite mortali nella testa e ci spingono via dai nostri scanni. Questo è più [strano che un simile assassinio (III, 4,77-82) L'azione (reale) ha invece le proprietà della completezza 45

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