Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

Si noti che il concetto di «combinatoria» non mancava nel modello funzionale; in quell'ambito, però, trovava il suo limite nella precisa definizione degli attanti: un attore può afferire contemporaneamente a più attanti, ma questi ultimi non prevedono un arricchimento numerico di fronte a nessuna narrazione.2 La combinatoria di Barthes è invece numericamente (e concettualmente) aperta: essa si modula sulla superficie del testo grazie a esercizi abduttivi, attraverso operazioni di ritaglio sempre provvisorie e ipotetiche. I risultati di tali operazioni, i sèmi, vanno a confluire e ad affollarsi nello spazio virtuale del Nome proprio: così Sarrasine «è la somma, il luogo di confluenza di turbolenza, estro artistico, indipendenza, violenza, eccesso, femminilità, bruttezza, natura composita, empietà, gusto del tagliuzzamento, volontà, ecc.» (ibid., p. 174). Questo inventario un po' caotico, che non esclude incoerenze, ha un aspetto fortemente atomistico e sommativo: di colpo, ci si sente liberi dall'asfissiante griglia della narratologia deduttivista e proairetica, ma al prezzo di un riavvicinamento a una parafrasi tradizionale (più minuziosa, senza dubbio, e con strumenti più sottili). Le contromisure tipologiche non appaiono molto brillanti: dinnanzi al problema maggiore, cioè le trasformazioni dell'identità, ci si limita a categorie empiriche come «personaggi aperti/chiusi», «piatti/a tutto tondo», e a distinguere i tratti durevoli dai fenomeni più effimeri (sensazioni, stati d'animo, ecc.) (cfr. Chatman 1978, pp. 130segg.). 3 È soprattutto la concezione di Chatman a prestare il fianco all'accusa secondo cui il «primato» del personaggio sulle azioni scivola facilmente verso le «essenze psicologiche», espulse dai Formalisti russi e dalla semiotica in genere. Senza dubbio questo studioso sembra credere troppo all'esistenza dei personaggi: «La nostra interpretazione non si limita al momento dell'immediato contat40

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