Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

al limite della vacuità non ha più peso né interesse. La povertà della teoria funzionale, chiamata a oltrepassare l'ambito delle narrazioni etnografiche e folkloriche (mito, fiaba), e di quelle comunque stereotipate (letteratura di massa) è presto risultata evidente alla stessa semiotica. E a questo punto essa si è divisa: (a) da un lato, tentando di articolare meglio e di raffinare le proprie tesi: ciò è avvenuto soprattutto con Greimas, che è risalito dal nucleo attanziale al comportamento degli attori; ma anche con Hamon, il quale ha cercato un equilibrio tra l'identità paradigmatica (ogni personaggio si definisce grazie ai rapporti oppositivi verso gli altri personaggi di un testo; 1977, trad. it. p. 97), e la genesi sintagmatica («Morfema vuoto in origine (non ha un senso, non ha referenza che non sia contestuale), il personaggio diventerà "pieno" soltanto all'ultima pagina del testo, una volta concluse le diverse trasformazioni di cui sarà stato supporto e agente») (ibidem). Per Hamon l'attante è un'unità costruita e non data (ibid., p. 103); (b) dall'altro lato, soprattutto con Barthes 1970 (ma vanno citati anche Todorov 1975 e Chatman), la semiotica ha recuperato la dimensione del personaggio, arrivando fino a un rovesciamento della posizione funzionale: «si può dire che il proprio del racconto non è l'azione, ma il personaggio come Nome proprio: il materiale semico... viene a riempire il proprio di essere, il nome di aggettivi» (Barthes 1970, trad. it. p. 174). In tale rovesciamento si delinea la concezione pulviscolare. Il personaggio come una collezione di semi, «un prodotto combinatorio: la combinazione è relativamente stabile (caratterizzata dal ritorno dei semi) e più o meno complessa (comportando tratti più o meno congruenti, più o meno contraddittori); questa complessità determina la "personalità" del personaggio, altrettanto combinatoria quanto il sapore di una pietanza o l'aroma di un vino» (ibid., p. 65). 39

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