Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

di Erich Auerbach: nell'epica c'è la necessità «di non lasciare nell'ombra o non finito nulla di quello che è stato accennato»; «come le cose singole, così assumono evidenza in forma perfetta anche le loro relazioni di tempo, di luogo, causali, finali, consecutive, comparative, concessive»; infine «un gran numero di congiunzioni, di avverbi, di particelle e di altri strumenti sintattici... delimitano tra loro le persone, le cose, gli avvenimenti».2 Se dunque i poemi omerici presentano questi aspetti di formularietà e ripetitività, possiamo affermare a ragione che tutta l'epica sia costituita da una costante ripetizione, da un ritmo letterario fatto di uscite continue dall'episodio narrato, di narrazioni e digressioni operate sia dall'autore cha dai personaggi, che in questo modo «riempiono» il tempo davvero breve degli avvenimenti (51 giorni nell' Iliade e 40 nell' Odissea). In questo contesto, in questo narrato così incalzante e insieme così lento (visto che trova il tempo per tante divagazioni) trovano posto alcune forme verbali proprie del dialetto ionico usate in tutta la letteratura greca soltanto da Omero e da Erodoto. Sono i cosiddetti «preteriti iterativi», quei verbi cioè che esprimono un'azione ripetuta o continuata nel passato. Di questi verbi si sono occupati grammatici e storici della lingua, che ne hanno riconosciuto i caratteri indoeuropei (si ritrovano con lo stesso significato in Sanscrito e in lttita)3 e hanno notato la loro bassissima frequenza all'interno della letteratura greca: i pochi autori che ne fanno uso infatti sono poeti4 che li considerano veri e propri «epicismi», forme cioè di diretta derivazione omerica. Come può da un problema grammaticale sorgere un problema letterario? Come usa Omero queste forme e soprattutto quale significato assumono nella lettura del 179

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==