Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

La tela di Omero Rileggere Omero, rileggerlo dopo alcuni anni, mi ha dato la sensazione di un ritmo particolare che avevo dimenticato, cadenzato dalle formule e dalle digressioni, che si può ben dire costituiscano l'ossatura e non il corollario dei poemi. Gli epiteti degli eroi e degli dei, il venire dell'aurora, le parole alate, sono la naturale guida della narrazione, il suono più autentico dell'opera di Omero. Non· è facile però, nella sterminata bibliografia omerica, sentir parlare di tutto questo da un punto di vista semplicemente letterario: troppo spesso ci si sente prigionieri della questione dell'autore, delle varianti non accettate, dei problemi linguistici o comunque specialistici che frenano così spesso la ricerca estetico-letteraria o che sviano il discorso per portarlo su tutt'altri binari. Bisogna risalire alla Poetica di Aristotele per trovare accenni di questo tipo: quando lo Stagirita confronta lo stile dell'epopea con quello della tragedia, afferma che la prima «è molto propensa naturalmente ad espandere la dimensione» perché l'uditore viene piacevolmente distratto dall'inserimento nella trama di «episodi svariati». Egli stesso nota che capita anche a nòi, quando raccontiamo qualcosa, di fare aggiunte al nostro racconto «per riuscire più graditi».1 Troviamo le stesse considerazioni sul racconto omerico e gli stessi "episodi svariati" nel saggio che apre Mimesis 178

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