Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

con Blanchot, sta «in un avvenire non avvenuto». Se si vuole, il maximum della perversione è rappresentato dal finale delle 120 journées, dove i quattro libertini si affannano a far fuori i superstiti delle orge, secondo una contabilità di massacri che sembra tuttavia inesauribile - ne residua difatti al récit, misteriosamente, a dispetto delle cifre, sempre uno in più; e dove, in aggiunta, il promemoria dell'autore a se stesso continua ad allargare il testo anziché chiuderlo. (Con grande intuito, Barthes sottolinea che, consigliandosi e ammonendosi sul proprio lavoro, Sade se vouvoie, usa il voi: «Détaillez le départ... N'oubliez pas...»; e definisce questo prendersi con le pinze, questo mettersi fra virgolette, una «supreme subversion» - cui si applicherebbe tuttavia, credo, anche l'etichetta di «perversione suprema»). In questo senso, la scrittura pornografica sadiana è scrittura perché implica, dentro la totalità d'avvio (nell'ultima pagina di Juliette, Noirceuil, compiacendosi dei benefici piovuti sui libertini, commenta: «Rallegriamoci, amici: vedo che qui solo la virtù è sventurata: forse non oseremmo dirlo se stessimo scrivendo un romanzo...»; cui Juliette ribatte: «Perché avere paura di renderlo pubblico? La filosofia deve dire tutto»), una perdita inevitabile. La contiguità ovvero la metonimia perversione / scrittura aiuta ad avanzare di un altro passo. Secondo etimologia fin troppo agevole, perversione val quanto versione che si metta di traverso, devii dalla finalità supposta - per effetto di un minimo elemento linguistico (per). La perdita inclusa nella scrittura perverte il godimento da essa promesso: ma quanto va perduto è vitale, non marginale. Ancora una trascrizione: se scegliamo la scrittura, scegliamo, in ultima istanza, di essere morti. «Essere morti» è qui la versione possibile/impossibile del godimento. 165

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==