Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

stanno i due componimenti cui è affidato il compito di annunciare la· morte di Laura: il sonetto CCLXVII e la canzone CCLXVIII (Che debb'io far?). Il primo procede come una lamentazione sorretta, nella prima quartina, dall'abrupte incohare dello stile nominale («Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo» ecc., secondo dunque la struttura «oimè + sintagma nominale»), per poi concludere senz'alcuna escursione narrativa (seguendo la lettera, poco o nulla dice al lettore che Laura è morta). Nella canzone, che è «vedova, sconsolata, in veste negra», Petrarca analizza invece di già gli effetti della morte di Laura sulla propria condotta; il momento dello strappo viene dunque sostanzialmente evitato nei Rerum vulgarium fragmenta e affidato direttamente alla memoria. Nel passare dal futuro del desiderio, che permea la prima parte, al passato della memoria, cui si deve la prosecuzione del genere lirico in Petrarca (si tratta pur sempre della contraddizione in termini di una «lirica amorosa in morte», esemplificata magistralmente nelle antitesi della sestina doppia CCCXXXII, Mia benigna fortuna e 'l viver lieto), i Rerum vulgarium fragmenta mancano l'unico possibile appuntamento con il presente. Se si compara tale soluzione con l'unico esplicito precedente «narrativo», la Vita nuova di Dante, si potranno finalmente trarre le conclusioni di questo discorso. Nel prosimetro dantesco l'intervento della morte raggiunge livelli di drammaticità ineguagliabili; lo strappo determina addirittura l'arresto della voce. Seguiamo da vicino questa narrazione: volendo cantare gli effetti che al presente tempo Beatrice suscitava in lui, Dante comincia la canzone Sì lungiamente m'ha tenuto amore; la morte interviene prima che essa sia conclusa, quando il poeta aveva cioè allestito la sola prima stanza. Poco importa se questo montaggio narrativo nasconda in realtà un componimento che era, invece, effettivamente concluso, trattandosi con buone probabilità di una stanza isolata di canzone; 158

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