Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

"Dov'è viva colei eh'altrui par morta" Lo studio della forma chiusa del canzoniere, inteso come macrotesto, vale a dire costrutto architettonico (e come tale sostenuto da una serie di spinte, forze ed equilibri interni), è, per quanto possa apparire strano, un'acquisizione recente della critica 1 , debitrice a tale proposito non solo delle ossessioni strutturali dei passati decenni ma, presumibilmente, anche delle nevrosi d'ordine (e d'ordine sostanzialmente «narrativo») evidenziate, diciamo, dal mito del Libro mallarmiano in poi. A ragione, dunque, Guglielmo Gorni si meraviglia, in un bel saggio, del fatto che sia passata inosservata la mancanza di «una teoria della dispositio che si applichi alla struttura di un testo a più individui»2 ; del fatto cioè che non sia stata notata la disattenzione, mostrata addirittura dagli stessi petrarchisti, con la quale per secoli ci si è accostati al canzoniere per antonomasia, quello di Petrarca, il cui elaborato costrutto «narrativo» non solo non assurse a modello (i pur pedissequi petrarchisti furono religiosissimi nel ricalcare l'incipit contrito dei Rerum vulgarium fragmenta ma solo per disperdersi di poi in mille rivoli) ma trovò pronte, nel 1525, le forbici di Alessandro Vellutello, certo di arrecare cosa gradita al lettore nel riallestirgli il necessario Petrarca in tre sezioni monotematiche. Che nel Cinquecento mancasse «la coscienza dei "con149

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