re occulto di «habits», false premesse, relazioni erronee. Anche per Keynes, il problema delle «illusioni intellettuali» trascolora nelle «illusioni grammaticali». La soluzione di un problema filosofico, preciserà meglio Moore, implica un discorso sul linguaggio; la soluzione di un problema ontologico «tout court», aggiungerà Wittgenstein, implica un discorso sul linguaggio. Ma, sappiamo, tutto il dibattito scientifico-filosofico di inizio secolo andava eleggendo il linguaggio a referente inalienabile della propria riflessione, dalle scuole inglesi a quelle del continente, dai logici ai neo-empiristi, da Frege a Carnap, da Russell a Neurath. Con questo ambiente Keynes si misura. Dall'incontro con questa filosofia nascerà il Keynes teorico della probabilità. Con il Treatise on Probability un pezzetto del tragitto scientifico di Keynes si concludeva: attraverso questa scrittura infatti l'autore dava consistenza teorica ad atteggiamenti di pensiero caratteristici della sua formazione vittodana. Così, le istanze «forti» di quel mondo intellettuale per Keynes - per suo proprio tramite - si rovesceranno senza apparenti rotture, per continuità, dentro la nascente epistemologia novecentesca, dentro il pensiero della modernità: non è azzardato, in questa prospettiva, contemplare una linea di sviluppo del pensiero scientifico-filosofico inglese che dopo Darwin e Leslie Stephen accoglie nella propria parabola il giovane Keynes, e sfocia infine in Ramsay. E al contempo il Treatise apriva in avanti, inaugurava un nuovo tragitto di percorso: esso rappresenta infatti un primo pezzo di teoria della conoscenza da cui far procedere future applicazioni in settori svariati e specialistici dell'esperienza. Nel muoversi nel sempre più complesso mondo dell'esperienza sociale ed economica, nel tentativo di produrne analisi non riduttive, «utili» a comprenderne la logica e ad anticiparne l'andamento, Keynes non prescinderà mai da quel primo pezzo di teoria. Altri pezzi di teoria si aggiungeranno nel per144
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==