Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

Infatti, anche per Keynes il Trattato seguiva un doppio ideale percorso, speculativo e pratico; in un commento di Moore «esso doveva trattare, tra le altre cose, dei problemi del comportamento e dei presupposti probabili di una azione» (cfr. infatti il cap. 4 sulla «Application of probability to conduct» ). Inoltre una breve scorsa all'indice generale, rimanda immediatamente il lettore ai punti teorici «forti» del discorso di Stephen sul metodo: i presupposti razionali e «scientifici» dell'argomentazione non-dimostrativa (cap. I); l'inferenzialità (cap. 2), i rapporti tra induzione e analogia (cap. 3), applicazioni «etiche» della Teoria (cap. 4), possibili estensioni «specialistiche» della Teoria (cap. 4: «The Foundations of statistica! inference»). E pensiamo per concludere, ad una possibile linea di connessione Stephen-Keynes-Wittgenstein, in riferimento ad alcuni sviluppi teorici di ordine filosofico-linguistico. Alla base della connessione è la comune intuizione della centralità del linguaggio nei processi conoscitivi, elementari e complessi: intuizione che procede dall'assioma per cui la conoscenza dell'esperienza individuale non può essere diretta ma relazionale-proposizionale. A partire da Stephen, è detto, «ognuno di noi è un'unità assoluta e un incolmabile abisso lo separa dalla conoscenza diretta di altre conoscenze» e ancora: 142 Per giustificare il procedimento inferenziale, parto dal presupposto per cui vivendo nello stesso mondo certe formule generali sono vere per me e per te e e che da esse, una volta inseriti i dati necessari, è possibile ricavare sia il valore delle mie percezioni che delle tue. Io però non sono direttamente conscio delle tue sensazioni, non posso vedere la tua sensazione di luce più di quanto non veda la tua emozione di paura. I materialisti su questo punto sono talvolta indotti a un errore linguistico: essi cioè si ritengono logicamente auto-

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