Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

adattabile ad una realtà in mutamento costante e perciò dotato di apparati categoriali non rigidi. In questo linguaggio, come in ogni linguaggio naturale, le parole non potevano essere simboli, ma variabili organiche da usarsi «in modo mutevole, talvolta attribuendo loro un valore, talvolta un altro anche molto diverso». Così Jevons emerge, curiosamente «darwinizzato», intento a controllare «i propri materiali con occhio indagatore e l'immaginazione fertile e controllata del naturalista», quello stesso Jevons che anche Marshall, riserve personali a parte, aveva ammirato per la sua capacità di combinare «osservazioni suggestive e analogie di grande accuratezza. 5. Leslie Stephen. L'eminenza vittoriana di un sapere «combinato» Verso la metà dell'Ottocento erano state le scienze naturali a farsi carico per prime di un cospicuo dibattito epistemologico, provocando da un lato l'acuirsi della controversia intellettuale sulle «due culture» ma al contempo spianando la via a risoluzioni di grandi modernità. Così, mentre con la geologia di Herchel e di Lyell e in seguito con la teoria di Darwin11 le scienze naturali abbandonavano la mistica del catalogo per accogliere in sé nuovi macro-discorsi sul sapere, il suo metodo e il suo linguaggio, Arnold e Huxley, il poeta e lo scienziato, esasperavano i toni di un'irriducibile contrapposizione tra «verità» della poesia e «verità» della scienza.12 Solo verso la fine del secolo, superato l'impatto dei contenuti «evoluzionisti» e di certi loro indebiti travisamenti, anche le discipline non-scientiste si avviavano a raccogliere la nuova sfida epistemologica. Da versanti originariamente storico-filosofici, Leslie Stephen tra altri rivaluterà e stigmatizzerà le istanze epistemologiche implicate dalla 134

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