Il piccolo Hans - anno XV - n. 59 - autunno 1988

dell'analogia, della similitudine, e, lo sappiamo, della metafora, Darwin lavora la sua «vision of Nature», avversato dai sostenitori della verifica empirica diretta raccomandata dal «true Baconian method». L'aspetto «contagioso» del metodo, il suo essere «dentro il linguaggio», non implicava la sistematica rinuncia al procedimento induttivo; come ben sottolinea Keynes, in Darwin non v'è contraddizione, ma compenetrazione, «combination» di strumenti e di prospettive: Vediamo come, non soltanto nell'argomentazione principale ma nelle varie discussioni sussidiarie, un'elaborata combinazione di induzione e analogia è sovrimposta alla conoscenza limitata e ristretta di frequenze statistiche. E d'altronde è questo il caso di quasi tutte le argomentazioni ordinarie, quale che sia la loro complessità. (TP, p. 118-119). La conoscenza e la non-contraddizione dei fatti, le «experimental references», sono tuttora interne al metodo, solo, ridimensionate, ad un ruolo di controllo, non di giustificazione della teoria. E paradossalmente al rigore «dimostrativo» dei fatti Darwin fa appello per condurre ulteriori colpi al sapere tradizionale, così straordinariamente intriso di «habits of thinking» e di «hearsays» intoccati dal rigore scientista. Da qui un'argomentazione darwiniana retoricamente strutturata sulla contrapposizione tra un «I was told» parlato dal vecchio sapere e gli incontrovertibili «dati» selezionati a fondamenta del nuovo. (A questo proposito, il riferimento alle modalità retorico-espositive della Generai Theory di Keynes ci sembra quasi di rigore: si rimanda in particolare il lettore keynesiano al cap. 2 e al cap. 12, ove il discorso è strutturato costantemente attorno allo «scarto» tra «belief» della teoria classica e «extensive experience» chiamata a suffragio della nuova). 130

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