un terreno per noi immediatamente interessante: pensiamo qui ad atteggiamenti e scelte operative assai diffuse tra gli esponenti del Puritanesimo Evangelico, soprattutto quello legato alle chiese di Chapam e di Bunyan (a cui, per tradizione, appartenevano rispettivamente gli Stephens e i Keynes.) Per i puritani evangelici allora impegnati nell'organizzazione del dissenso sociale e politico, erano la predicazione in pubblico e la scrittura i modi privilegiati della chiarificazione e della propaganda evangelica. La parola dunque, portata da una coscienza altamente consapevole e determinata verso coscienze ugualmente date per attive, la parola strutturata dentro le forme del linguaggio argomentativo, polemico e suasivo, era per i dissenters «azione». Nei modi orali della predicazione o in quelli scritti del pamphlet, la parola puritana veniva «messa a frutto» per una causa reputata di pubblica utilità, profferita per «far luce» sull'esperienza, per dissipare le ambiguità e perciò riscattata dal sospetto sofista e edonista. E l'argomentazione che la ordinava non seguiva i percorsi tortuosi e autocompiaciuti della suasività occulta, ma quelli «plain and positive» dell'apprensione razionale. Questa passione neo-retorica concepita e cresciuta tra «santità» individuale e «social obligation», compresa ab origine entro l'imperativo proiettivo dell'«io» autorale verso il «tu» della comunicazione, conoscerà attraverso le strutture collettive vittoriane una poderosa legittimazione storica e letteraria, estesa a tutti gli ambiti della pratica espressiva. L'ottocento, sappiamo dagli storici, fu un secolo di grande ripresa religiosa (è di quel tempo la diffusione popolare del settarismo religioso, legato alla «rivelazione», di Metodisti, Quaccheri, Battisti e Cattolici, a fronte di una cultura ufficiale compresa dentro una cornice di diffuso utilitarismo e materialismo). Fu anche, significativamente, il secolo del ritorno massiccio dei predicatori religiosi sulla scena spirituale e sociale, dagli aggueriti Bi124
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