ta a Sidgwick. Marshall, al tempo acceso sostenitore della necessità di un modello di «economia diagrammatica» decideva di porre in salvo l'Economia da una complessità di visione che certo mal si addiceva ad una disciplina che egli voleva rigorosa nei procedimenti e «positiva» nei risultati. Alle insistenze di Marshall, che in una lettera accorata del 1906 lo invita a non sottovalutare una spiccata «proficiency» economica («Penso che se tu sostenessi l'esame del Tripos otterresti un 'first-class' semplicemente rileggendo il programma in dieci giorni») e ripetutamente allude ad un destino ineluttabile («Credo fermamente che la tua futura carriera ti consenta di non smettere d'essere un economista. Sarei anzi lieto di pensare che la tua sarà la carriera di un economista»), Keynes momentaneamente risponde con una trasparente opzione filosofica: per lui, l'economia rimane una disciplina singolarmente difficile, che all'occasione comprende il calcolo aritmetico ma non trova in esso la sua giustificazione; dalla matematica alla filosofia, l'aspirante economista privilegia vie complesse di riflessione, non rinuncia alla possibilità di una risposta più consistente con il suo curriculo e il suo sapere «combinato». E intanto, come ad ottemperare al pendente debito vittoriano, Keynes muove le sue future scelte sullo sfondo di un'ideale congiunzione tra teoria ed esperienza: così la scrittura di un saggio sul metodo, su un «nuovo metodo» (come si apprende da una lettera ai genitori) procederà di pari passo con la preparazione all'esame di idoneità al Civil Service. Scegliendo la viamaestra delle Economics di Marshall, Keynes ne sarebbe diventato un allievo naturale; ma fu proprio la passione filosofica a impedire il corso di questa ipotesi. All'Economia «matematica» e neo-meccanicista di Marshall, intesa come «newer and stronger machinery steadily and patiently built», il giovane Keynes opponeva discorsi di metodo. In quest'ottica, era la filosofia e non 115
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