tologia» dei tratti parentali messa indirettamente a punto dal Keynes biografo. È forse con in mente tale felice complicità che Keynes commenta alcune simili coincidenze nelle vicende filiali di Malthus e Jevons, e inesorabilmente ritorna sull'infelice esperienza di Marshall, il quale «negli ultimi tempi era tormentato da penosi ricordi del padre, quel suo padre tiranno che lo abbligava a tarda sera allo studio dell'Ebraico, e al contempo gli vietava i percorsi, per lui così affascinanti, della matematica.» (EB, p. 163-164). Per confronto indiretto, su base biografica e psicologistica, Keynes ipotizza una linea di ideale continuità intellettuale che Marshall, già per ascendenza culturale, era destinato ad interrompere. Senza farci ingannare dal tono rispettoso, a tratti affettuoso, del saggio dedicato a Marshall, non è difficile vedere come il discorso sul «maestro» proceda all'insegna della scissione (metodologica) della ghettizzazione (specialistica) del sapere e della pratica economica. Sicché, nel commemorare ufficialmente un «Eminent Victorian» certo apprezzato nella sua volontà di rendere socialmente utili gli studi economici «venendo a stretto contatto con gli affari pubblici e con la realtà delle classi lavoratrici» (EB, p. 187), nel salutare in Marshall «il primo grande economista 'puro sangue'... colui che dedicò la sua vita alla costituzione di una disciplina che potesse lavorare come una scienza distinta da altre, con fondamenta e leggi autonome» (EB, p. 222), Keynes non può trattenersi dal concludere che, proprio per Marshall «le scienze economiche non sarebbero mai più state un oggetto di studio compreso dentro al quadro degli studi filosofici, non sarebbero più state una scienza morale, così come l'avevano concepita Mill, Jevons e Sidgwick.» (EB, p. 222). Fine d'una grande tradizione, dunque, che in Adamus Smith, Professore di Logica, Filosofia Morale e Belle Lettere all'Università di Glasgow, aveva avuto il proprio illustre progenitore. 112
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