forma di una mediazione concettuale o di articolazione discorsiva, si irradia in un tracciato figurale, in una «rotazione», in un esodo narrativo che ritorna incessantemente su se stesso senza mai ricomporsi, fatto di «narrazioni della non identità dell'uomo con se stesso»33 che urgono al dispiegamento utopico della latenza. Il secondo insistendo sulla collusione tra la forza che distrugge in noi la sopravvivenza del passato e la gioia che proprio questa forza può concedere, appesa al filo di una memoria in grado di «restituire la voce dell'oblio»34 • Nella deformazione e distorsione più profonda risiede forse, infatti, l'unico accesso a quella felicità che, per dirla col Benjamin di Strada a senso unico, consiste nel rendersi conto di se stessi senza terrore. Questi ed altri interrogativi, il loro «bada», per dirla con Hebel, amato in egual misura da Bloch e da Benjamin, risuonano ancora dallo scenario «poroso»35 di quel colloquio caprese, mentre il crepuscolo andava sempre più inoltrandosi verso la sua notte, verso la sua luce. Gianfranco Gabetta NOTE 1 E. Bloch, Bilder des Déjà vu, in Literari�che Aufsii.tze, Bd. 9 della Gesamtausgabe, Frankfurt amM., Suhrkamp, 1965, p. 240. Bloch riferisce di questo dialogo anche in numerose interviste, mai peraltro datandolo con precisione (anzi, in un caso, indicando erroneamente il 1921). L'anno 1924 è fortemente presumibile, specie in base ai carteggi di Benjamin, che pure non ne fa mai menzione esplicita. Cfr. la lettera a G. Scholem da Capri del 16 settembre 1924 (in W. Benjamin, Lettere 1913-40, Torino, Einaudi, 1978, p. 96) e quella da Roma-Firenze dell'ottobre-novembre 1924 (ivi, p. l04). Su Der blande Eckbert, Benjamin progetterà alcuni mesi dopo di scrivere un breve articolo per la «Bremer Presse»: cfr. la lettera a Scholem del 20-25 maggio 1925, ivi, p. 118. Il periodo di Capri va annoverato, assieme a quello di Parigi due anni più tardi, tra i più felici della non facile amicizia tra Bloch e Benjamin 101
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