Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

Goethe, e in particolare questa poesia, è per definizione un caso di sublime. Ma intanto ciò che ho appena detto - quella fluttuazione di onde emotive, di immagini, di percezioni confuse, non è ancora, anzi: non è per niente la pace della sera, non ha che spartire col sublime. Deve venire, a pronunciarla, proprio la catena verbale «la pace della sera». Tanto vale dire che il sublime è ciò che si costituisce come tale per effetto di un'articolazione di linguaggio (linguaggio che potrà essere di segni verbali, sonori, grafici, plastici...). Per quanto riguarda più direttamente queste mie annotazioni: ciò che ha la qualità di un essere di parola. Nadar racconta degli ultimi tempi di Baudelaire, il Baudelaire afasico, e delle dispute sull'immortalità dell'anima, c'è da credere fatte soprattutto di gesti e di grimaces; di Baudelaire che a un certo punto corre alla finestra, alza il pugno verso il cielo arrossato dal tramonto (ancora, forse non per caso, la sera!) e mugola: «crénom, oh crénom!» Quel «crénom» è in qualche modo l'articolazione minima, rozza di ciò che si intende per sublime: il «crénom» è il pis-aller del sublime per Baudelaire ridotto al regime infimo della comunicazione. Se teniamo fermo che il sublime è sublime in quanto lo possiamo dire - magari non dicendolo, evitando di dirlo, allo stesso modo che in psicoanalisi la negazione è una via, forse la più irrecusabile, per affermare qualcosa - allora potrà presentarsi come una frase, un sintagma, una parola, una lettera o un fonema, indifferentemente. Non senza motivo è venuto in campo Baudelaire. Almeno due sonetti baudelairiani fanno al caso mio, l'uno, «Harmonie du soir», richiamandosi addirittura fin dal titolo alla frase guida «la pace della sera». Recueillement è, in sostanza, un esercizio sul sublime: sul dolore che diventa più tranquillo, sapiente e familiare 98

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