interna al testo, e messa in gioco dal testo (messa a collaborarvi), si confermerebbe unico criterio valido a stabilire, del testo medesimo, una parvenza di soggettività.17 Il sistema di questa molteplicità simultanea di personalità (di persone, più grammaticalmente), ben noto alla prima psichiatria dinamica,18 , ruoterebbe in tal modo intorno alla simulazione di una persona (Alberto), per giunta depotenziata, su cui anzi esercitare lo svuotamento (che è poi riflessivo) dell'ironia: su di una non-persona riportata dall'io soggetto di enunciazione, e ad esso, sappiamo da Benveniste, estranea, la quale nel suo partecipare delle tre identità (narrato da Carlo, Alberto assume il nome di Guido), depersonalizza il medesimo romanzo umoristico, lo depriva di un soggetto fondato: e in primo luogo, della medesima nozione di autore («In un libro d'umorismo il protagonista è sempre l'autore», nota 2267). L'autobiografia pseudonima, che già tendeva al più ironico romanzo di formazione, sprofonda in questa falla dell'enunciazione, e s'inserisce, in tal modo, nel circuito chiuso del rappresentato: in quello di una fiction spuria, che per giunta non trova una definizione se non nella condizione metatestuale (essendo la Vita romanzo di secondo grado, romanzo di romanzo: storia della «vocazione» e dell'enunciazione letteraria di Alberto). Come nella gran parte delle pseudonimie, ma più potentemente nella finzione autobiografica, la responsabilità assunta da una persona reale, che Lejeune conferiva al nome d'autore per virtù di una «convenzione sociale»19 , si disperde nella finzione prepotente della prima persona, sempre più «segno vuoto, non referenziale» (Benveniste), sempre più deprivato di referente: nel sistema di raddoppiamenti, l'io pseudonimo (perlomeno il dossiano) lavora ad uno spossessamento del riferimento, in favore di un'espansione come claq.strofobica dei suoi chiusi circuiti connotativi; la melanconia umoristica20 investe anche il proprio soggetto, gli sottrae personalità, o anima, favorendo invece il per- . 85
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