Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

ne è dato dalla discontinuità temporale del tenente luogo di «io». Il sonno, la pausa e il sospiro sono vere cesure, qualcosa che Hopkins ha espresso in questo verso: «Questa fu la visione.../ che mi divise foglio a foglio, palpebra a palpebra, dal sonno>> (65, versi 6-7). Questo discontinuo temporale, che introduce il giorno nel buio (47) e la veglia nella notte (45), frammenta quell'«io» e lo isola più di un castello arroccato su una montagna coperta di neve. È una rottura di cui l'«io» registra tutti gli effetti: siamo alla stessa rottura rilevata per la ripetizione mitica, la soppressione di un mondo e il passaggio in un altro. Un passaggio simile al risveglio da un sogno, o al tentativo di fuga da un incubo. Da questo discontinuo temporale, che è un cambiamento di scenario, decorre la riflessione come un piccolo resto, il segno più certo dell'uscita dal mito. Il quarto livello è parallelo al discontinuo temporale, ed è provocato dal moltiplicarsi della sequenza dei sostituti dell'«io», delle istanze vicarie che si schierano in maligna moltitudine secondo lo schema del «combattimento con legione» del vangelo secondo S. Marco. Poiché possiamo dire con Starobinski che il male è sempre dalla parte della pluralità: «agisca come malattia, ostilità demoniaca, mancanza di fede, la parte avversa è sempre plurale. Si ricordi la formula di Kierkegaard: 'la folla è menzogna'». Questo livello ci riporta alla struttura ricattatoria della voce riflessa (nata dalla riflessione), e alla metafora regale che con la Bibbia schiera la voce dalla parte dell'accusatore, schiera cioè l'una contro l'altra un'istanza dualizzata e la sua manifestazione scissa, oggettivata. Qui la semplice scissione, la diade anima e corpo, oppure «io» e «tu soppresso» del dialogo non basta perché c'è uno slittamento che riproduce una annosa oscillazione in seno alla chiesa fra distribuzione binaria e ternaria. Lo 52

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