Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

un inno cantato da un gruppo di persone, una frase come «io loderò il Signore» esprime, per mezzo della metafora dell'individuo che in questo caso è identificato con l'autore dell'inno, l'unità di quel gruppo. La figura verbale qui implicata è un'estensione della metafora regale, e viene facilmente assorbita in essa. I salmi confessionali in particolare, dove l'«io» è un peccatore bisognoso di accettazione o una vittima perseguitata che richiede aiuto, assumono una forza ed eloquenza particolari quando l'«io» è pensato riferito ad un re, si tratti d'un re vero o ipotetico.26 Nei Salmi nasce dunque una figura verbale che è un'estensione della metafora regale. L'«io» del peccatore che invoca è visto, con bell'effetto di contrasto, nella polvere dell'umiliazione ai piedi del trono che occupa: sia re vero o ipotetico, quale salto, quale dislivello più profondo fra regalità e terrore supplice? Il salto è dato dal rilievo storico della personalità sullo sfondo della società e della comunità religiosa: in questo posto può stare un profeta, un re, o Gesù stesso, insomma un mitico soggetto, animato diacronicamente nel Grande codice, nella prospettiva unica e caratterizzante della tipologia. Allo stesso modo Hopkins trova quel tono unico, quella particolare voce che dice «io». Egli infatti costruisce la propria opera sul cristianesimo cattolico, investendola dello stress, della forza propria del mito, il mito cattolico che struttura le funzioni dell '«io», e più in generale la funzione della ripetizione rivolta al futuro. Si tratta di una ripetizione tipologica, quale è in atto nella Bibbia, slegata dal nesso causale rivolto al passato, e proiettata invece al futuro, a eventi futuri trascendenti il tempo. Eccoci dunque con Hopkins alle porte del moderno al . nodo intorno al mito con l'infinito moltiplicarsi delle interpretazioni e il ritmo innovativo delle ripetizioni. 46

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