Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

risposta è: «io voglio». Sì, volo. <<lo» re, «io» supplice: _una prospettiva in rilievo La linea genealogica alta del soggetto d'enunciazione hopkinsiano è legata ai mitici luoghi della tragedia e della Bibbia dove è stato detto quell'«io». Dentro le onde discendenti della riflessione (riflessione che moltiplica a eco la voce), chiuso nel ricatto accusatorio delle sue voci povere, quest'«io», chiamato a dirsi, misura nella sua genealogia la caduta nel presente del testo. Il salto che come da un picco lo precipita nell'orrore più tremendo, nella più profonda disperazione. Per misurare l'estensione di questa caduta torniamo a Hopkins gesuita, alla sua fede nell'Incarnazione, nel Paradiso Terrestre perduto, torniamo a quanto dicevamo: che la sua opera è grande perché affonda le radici nel mito cristiano, perchè si alimenta di quella particolare energia presente nel Vecchio Testamento sotto forma di una: concezione del linguaggio che può definirsi poetica o «geroglifica», non nel senso della scrittura dei segni, ma in quello di un uso delle parole come particolare specie di segni. In questo periodo poca importanza viene attribuita a una chiara separazione tra soggetto e oggetto: l'accento è posto soprattutto sul fatto di sentire il soggetto e l'oggetto uniti da un potere e da un'energia comuni.23 Questo è il primo dei tre approcci al linguaggio che Northrop Frye definisce a partire da Vico, e non è che il 43

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