Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

La questione è tutta qui: Artaud chiede se ha il diritto di continuare a pensare in prosa o in poesia; perché scrivere per lui è già pensare. Cosa che mette in secondo piano la valutazione estetica per l'ammissione nella letteratura. Quando ce n'eravamo occupati eravamo alla ricerca degli elementi primi di uno stile, e avevamo dato all'intenzione un valore originario. Ora dopo il passaggio nel volo e nella complessa struttura dell' «io» hopkinsiano possiamo dare una risposta più a monte. È la risposta che Rilke ha dato al giovane poeta che lo interpellava, risposta che il testo di Artaud contiene già implicitamente: Voi domandate se i vostri versi siano buoni. Lo domandate a me. L'avetè prima domandato ad altri. Li spedite a riviste. Li paragonate con altre poesie e v'inquietate se talune redazioni rifiutano i vostri tentativi. Ora (poi che voi m'avete permesso di consigliarvi) vi prego di abbandonare tutto questo. Voi guardate fuori verso l'esterno e questo soprattutto voi non dovreste ora fare. Nessuno vi può consigliare e aiutare, nessuno. C'è una sola via. Penetrate in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s'essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi �i negasse di scrivere. Questo anzitutto: domandatevi nell'ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v'è concesso affrontare questa grave domanda con un forte e semplice «debbo», allora edificate la vostra vita secondo questa necessità.22 Con questa bella estensione illimitata del «sì» siamo rimandati alle motivazioni profonde per cui una lingua idiolettica rinvia costantemente a se stessa, e a un'intenzione decisiva; ma soprattutto siamo approdati a un «tu devi» che impone la sua necessità insopprimibile. La sola 42

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