Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

(gerarchico, professorale, ecc.), si presenta in nome di ciò che parla in lui. » In questo solo punto, credo, la poesia si presenta davvero nella posizione del discorso mistico: qui, come dice Miche! De Certeau nella FabulaMistica, l'autore «deve ancora dimostrare che si trova davvero nel posto da cui si suppone che parli. Deve proprio, mediante il testo, rendere credibile ciò che fonda il testo.» Indipendentemente dalla strumentazione, e dalla legittimazione delle istituzioni preposte: la critica, l'università, la chiesa, c'è qui il passaggio istantaneo di un «io» in assoluta nudità e fragilità che si pone in una specie di grado zero, zero della rappresentazione, anche di se stesso, e di ogni contenuto; che si pone come semplice significante di quel «sì», di quell'atto iniziale e fondamentale che è il volere ( il volo mistico), l'intenzione della parola. Questo punto fuori dal disegno, punto preliminare, è poi inghiottito nel testo reale, ma anche così dissimulato segna il modo con cui il testo si afferma, prende posizione, e prendendola include il significante del suo locutore. È il punto più esposto, dove: L'intero apparato delle procedure testuali sembra circondare, per proteggerne la fragilità o consentirne la dichiarazione (vietata), la contraddizione interna del parlante - o del supposto «autore». L'io, nella posizione forte del testo, è una specie di lapsus.11 Dal punto di vista del testo, della sua forza legata al simbolico e al contratto (e al fatto che una volta creato il testo è un testo realizzato, un oggetto linguistico) l'«io» è dunque un lapsus. Questo lapsus cade nella cesura che separa il dire dal detto, nel salto che comporta l'esercizio del linguaggio; è una specie di voltaggio che alimenta il commutatore linguistico, nel senso di ciò che Benveniste chiama «conversione della lingua in discorso». 35

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==