Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

(Auerbach), in Hopkins assume rilievo particolare perché egli fu padre gesuita, cattolico credente nell'Incarnazione, e nella caduta dal Paradiso Terrestre. Al punto che noi possiamo dire che alle porte del moderno Hopkins è così grande poeta anche perché cristiano cattolico, cioè perché la sua opera affonda le radici nel mito cristiano, nel cuore del suo dogma, e nel motore della sua tradizione consegnata dalla Bibbia. Ora, prima di fare un'escursione attraverso questa importante ascendenza, cioè prima di fermarci a misurare tutta l'altezza delle codificazioni bibliche presenti nei Salmi, e nelle sue voci recitanti in prima persona, dobbiamo ancora prendere in considerazione un'ascendenza meno remota: il libro fondamentale delle meditazioni del gesuita, Gli Esercizi Spirituali, di Loyola. E sulla sponda opposta dell'esperienza religiosa, la grande lezione contemporanea della mistica. «lo» povero e «io» del volo L'idea del fondatore dell'ordine gesuita di organizzare con un lavorometodico la meditazione e la vita non è certo mistica, ma anzi le si oppone per la concretezza delle rappresentazioni ordinate in una casistica. Ogni raffigurazione si presenta individuata in questo corpo, e Hopkins si rifà direttamente a Duns Scoto e alla sua teoria della haecceitas. Ciò che ne risulta, per ciò che interessa noi, è un'organizzazione del mondo, della sfera del sensibile e del rappresentabile, in un sistema discontinuo fatto di separazioni incessanti (il discernimento) perfettamente utilizzabili in una tecnica o in una lingua. A fronte di questo mondo sensibile il soggetto è povero, mantenuto e strutturato dentro l'organizzazione data. Non è quindi direttamente da questa fonte che Hopkins può avere tirato quel suo par30

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