Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

scindere dal testo primario. In una sequenza del tipo: «Comme il se fetard (d'Alcibiade), le temps est de plus en pluvieux» (Macabré, tavola I), la sostituzione di «fetard» (fes_taiolo) con «fait tard» (fa tardi) e di «pluvieux» (piovoso) con «plus vieux» (più vecchio) permette la biforcazione del testo, che fa un salto brusco dal presente al passato (grazie all'introduzione inattesa di un personaggio storico), prima di cortocircuitare i campi del cronologico e del meteorologico (dopo il tempo che passa, ecco il tempo che si guasta). Piuttosto, dunque, che un semplice attraversamento del significante scritturale, la scrittura rochiana ci mostra un continuo andirivieni tra grafematico da un lato e registri fonici e visivi dall'altro. Questa reversibilità sarà al centro delle pagine che seguono. L'opera di Roche è caratterizzata tanto dal polimorfismo quanto dall'ostinata presenza del tema della morte. Strutturalmente possiamo osservare una forte tensione tra la grandissima varietà delle tecniche utilizzate e la preoccupazione quasi esclusiva per alcune figure della morte continuamente riprese: lo scheletro, il cranio - ideogrammi di un decadimento universale e quanto mai personale. Nato il Giorno dei Morti, Roche innesta, in effetti, la sua inclinazione per il cadavere, in un gioco sul proprio nome. Maurice, innanzitutto, che tra gli altri, contiene in filigrana i suoni mort e mori (infinito latino di morire). Poi Roger che, associato in altre pagine all'inglese Jolly roger (la famosa bandiera corsara) attiva il cranio e le tibie incrociate (ulteriori particolari si possono reperire nella «Scheda personale» inclusa nel libro di Maurice Roche, Codex, Seuil, 1974). Risulta così che il f<;mdamento del tema funebre è meno autobiografico o psicologico che testuale, e che la scrittura della morte, in Roche, ha a che vedere con la figura dell'ethymologia che Pierre Guiraud (cfr. «Etymologie et ethymologia», Poétique 11, 1972, pp. 405-413) così descrive: 187

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