Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

Microlettura di "L'Arcano XIII" di "Macabré" Si deve definire antiscrittura quella di Maurice Roche', per il fatto che egli preferirebbe allo scritto la risonanza delle parole e le immagini che esse disegnano? Sarebbe la sua una vocazione di pittore-musicista quando rifinisce i segni della grafia con un brio ben raro per la letteratura francese contemporanea? Questa impressione è vera solo in parte. A prima vista, senza dubbio, il livello propriamente scritturale sembra essere un semplice strumento, una forma malleabile da affrontare, che si deve, in ultima analisi attraversare e superare grazie a una lettura al tempo stesso iconica e ad alta voce. Pronunciare o cantare il testo libererebbe la polisemia del lessico dalla costrizione dell'ortografia. Riconoscere, al posto delle parole, immagini sotterranee, dovrebbe dare maggior impatto alla tematica funebre propria dell'autore. Ora, se l'intrico dell'anamorfosi e del calembour è divenuto quasi il marchio di Roche, è altrettanto importante sottolineare la resistenza dello scritto che a sua volta domina il suono e l'immagine. Da un lato, le rappresentazioni figurate si scoprono dotate di una funzione alfabetica: spesso l'immagine si fa lettera e si alterna, nel cuore stesso delle parole, con i segni convenzionali dell'alfabeto, come in Macabré, per esempio - ma gli esempi sono legioni - dove la parola «elettrodiagramma» (tavola XXI) ha la seconda M cancellata dalle oscillazioni registrate dall'apparecchio. Dall'altro lato, certe perturbazioni ortografiche fanno apparire nero su bianco questa specie di controtesto che la semplice esecuzione sonora dei segni non è in grado di 186

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