Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

qualunque opinione e concezione recepita». E, nel prosieguo del suo saggio, Segre pone in rilievo, riprendendo le notazioni gaddiane sull'episodio dell'incontro tra Renzo e Don Abbondio, come «la reazione contro il linguaggio 'alto' è, in partenza, una forma di difesa». Nello specifico, vale a dire, fermando l'attenzione, al di là delle pur valide connotazioni psicologiche, al «fare» letterario, contro che cosa, ci si può chiedere, Gadda erigeva a difesa la sua macaronica? Osserva ancora Segre: «In linea di principio, ogni lingua letteraria dovrebbe contenere già i sottocodici realizzanti una maggiore o minore solennità di dettato: quelli dello stile sublime, dello stile medio e dello stile umile»: i sottocodici dei grammatici latini e della loro tradizione. Gadda, in maniera più o meno diretta, riconosceva questa capacità di «omogeneità» stilistica particolarmente nel suo amato Manzoni; ma temeva come il fuoco la tradizione, ottocentesca, del «vate»: «L'appellativo di profeta, cioè vate, ebbe largo spaccio dal 1840 all'80, e da noi fino al '15: mille novecento quindici. Anzi: fino al '45: quarantacinque! ventotto aprile, quella volta»21 • Ma è in un altro suo scritto, «La battaglia dei topi e delle rane» (1959), dedicato al dialetto e al pregiudizio del «monolinguismo» che Gadda ci offre alcuni esempi testuali di questa sua diffidenza nei confronti del «sublime» dei suddetti «vati». Commentando i versi dedicati nel «ça ira» carducciano al generale Roche: E tu via sfolgorante in tra i perigli Lampo di giovinezza, Roche sublime. Gadda chiosa: «È il solo caso in tutta la poesia europea, da Omero a Ungaretti, che un generale tisico venga titola127

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