Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

linus secum macaronica pensat...» Ma va anche oltre, Gadda. Nella chiusa di «Fatto personale... o quasi» non si perita di accostare «la buona penna di Don Alessandro» al «Sigmondo», cioè a Freud, per sottolineare, nella reazione di Renzo alla valanga di impedimenti formulati da Don Abbondio nel suo latinorum - lingua in questo caso di cui si avvale l'intellettuale «mediatore» (in senso gramsciano) Don Abbondio per mascherare la violenza incondita del potere - di un altro Don molto più potente di lui: Don Rodrigo - per sottolineare, dicevo, «l'angoscia della castrazione», il «complesso di castrazione passivo» con cui viene folgorata la «posizione maccheronizzante, voce di popolo, urgenza biologica di filatore d'organzini lecchesi d'anni venti» di Renzo. 5. Contro il linguaggio "alto" Ho sottolineato sopra il termine «trasgressione». L'ho tratto dal saggio di Cesare Segre «La tradizione macaronica da Folengo a Gadda» in Semiotica filologica20 • A differenza - egli osserva - dell'impiego del dialetto o al ricorso al mondo popolare, che possono avere valenze diverse e persino opposte, «È invece indubbio che il ricorso al macaronico (e perciò anche, ma non solo, al dialetto) costituisce una forma di trasgressione. Trasgressione linguistica anzitutto, dato lo sconquasso operato negli usi letterari e no. E trasgressione degli ordinamenti che la società riflette nelle gerarchie dei registri e degli usi linguistici. Una trasgressione educata, letterata, ma che può investire tutte le convenzioni di pensiero e di espressione. Accostando un codice all'altro nello stesso discorso, anzi nella stessa frase, lo scrittore macaronico continua a mutare la messa a fuoco ideologica, a sorprendere ogni automatismo dell'attesa; e così smaschera l'inconsistenza di 126

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==