Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

contrappositivamente, per spiegare un'origine: delle lettere, del canto. Per questo non avrebbe più senso darsi la pena di dichiararlo «falso». Solo dalla prospettiva della Caduta, appare il Nome e diventa possibile il pensiero di una lingua pura, paradisiaca. La nostalgia di essa. Questo particolare effetto di sublime - sublime del desiderio e della lontananza di qualcosa che pure ci pare di intravedere e di star per cogliere - Milton aveva ricercato e ottenuto soprattutto nel libro IV, quando la visione della piena fruizione edenica era stata filtrata dallo sguardo negatore e separatore di Satana, il diabolus. E forse per questo i commentatori moderni che pongono al centro della loro esegesi il problema di come possa la lingua caduta dire un mondo non caduto, poggiano la loro analisi su quel libro. Perché lì è Milton stesso a far sentire, oltre il canto, sempre un altro canto «esperio»: che si ritrae nel momento in cui la mano si tende verso di esso. Ma ora non è più tempo di visioni: ora che il poeta ha ottenuto la grazia della sua caduta, gli appare il carattere paradossalmente referenziale della lingua edenica come lingua fatta di puri Nomi. L'imperfezione di quella lingua innocente, che il salto -irrappre- . sentabile - nell'oscurità dovrà correggere: liberando il Nome dall'angoscia della naturalità ad esso immanente. Dall'oppressione dell'immagine che lo appesantisce. E il nome mitico è il primo, all'incipit del libro V II, a trovarsi così affrancato. In questa riduzione dell'antico a mondo di nomi comuni, Milton è già neo-classico: il suo non è l'antico in continuità col quale operava il poeta rinascimentale, tanto da credere di poterlo addirittura far «rinascere», di poterne dare la riproduzione indistinguibile, come avevano sognato gli umanisti italiani e ancora, in una fase della sua attività, Michelangelo. E non è nemmeno, l'antico di Milton in questa seconda metà del poema, quella pseudomorfosi, o reintegrazione di temi e motivi classici e cri12

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