Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

di linguaggio- appunto il nostro «la pace della sera». La memoria scolastica conferisce un passo dantesco del XXXIII del «Paradiso», dove è riconoscibile, a mio parere, una comparsa del sublime- che secondo Longino «disperde tutto a guisa di fulmine»... Un punto solo m'è maggior letargo che venticinque secoli all'impresa che fe' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. «Letargo» è termine concentrativo, conglutinando l'abbacinamento del personaggio della vicenda-«Commedia», che ha trapassato i tre regni, e lo stupor del personaggio-poeta davanti all'eccedenza (d'apparizione) del significante. Esso è il soggetto di parola che si colloca come medio, come ambiguo fra l'intorpidimento indotto dal1'«admirari» e la dimenticanza- verbalizzazione che raccoglie la modalità dell'apparire, epperò innesca quegli effetti di sublime manifestati nei due versi che seguono, direi espansivi («che venticinque secoli all'impresa etc...»): percezione istantanea di una smisurata lacuna temporale, cioè un ossimoro! «Letargo» in qualche modo assomiglia, per la sua contrazione, al ben noto ombelico del sogno; proponendo la domanda se il sublime non possa ipotizzarsi come un (im)posssibile accesso all'Altro. Un «significante apparso nel reale...» Che vuol dire, qui, «reale»? Il mio metro campione o tallone aureo, «la pace della sera», richiama abbastanza una figura di sublime in Lucrezio, il «suave mari magno»: opposizione di una quiete contemplativa al tumulto naturale, che addirittura la produce. È «la pace della mente» che appare come significante nel reale della tempesta marina. Questo «suave» indica un essere-della-tempesta-per-la-contemplazione, come «la pace della sera» appariva un essere-della-sera-per-laquiete. 104

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