Il piccolo Hans - anno XV - n. 58 - estate 1988

soggetto, Araby, che nello stesso tempo se ne arricchisce e potenzia. Che non si tratti di un'assunzione arbitraria, lo dichiara anche il testo, letteralmente: «nel silenzi9 in cui s'esaltava (luxuriated) l'anima mia, le sillabe della parola Arabia mi tornavano in mente per versarmi in cuore un incanto orientale.» Accettata questa lettura, ne deriva quasi obbligatoriamente una nozione del sublime che va abbastanza d'accordo con quanto detto finora. A indicare il còté metaretorico dell'effetto in questione, può contribuire anche il microrilievo linguistico, che qui non porto avanti per buoni motivi di economia, della ricorrenza nei due termini in coppia, Araby e bazaar, di lettere uguali (a/ b/ r), o contigue nella successione alfabetica (y/ z), a creare una figura di biunivocità, ancorchè imperfetta. In una nota dello «Zibaldone» (I, 106, 1) Leopardi scrive di Longino e del suo «Sublime», al solo scopo di concludere che «i progressi della ragione della civiltà» sono la causa dell'inaridirsi a tutti i livelli della sublimità. È un Leopardi in qualche modo inscrivibile, ante litteram, nello spazio del Disagio della civiltà di Freud. Muovendo da quel primo pretesto, però sempre lungo il filo degli effetti di sublime, egli si interroga sulle idee (diciamo immagini) che nascano dal testo, dalla sua particolare struttura, e tuttavia siano diverse da quelle volute dal poeta. Due immagini, in compresenza, in oscillazione reciproca... Dopo qualche esitazione, conclude che «questa sarebbe la sorgente di una grande arte... destando immagini delle quali non sia evidente la ragione ma quasi nascosta, e tali che elle paiano accidentali e non procurate dal poeta in nessun modo, ma quasi ispirate da cosa invisibile e incomprensibile...». Innesto anch'io un'altra idea sulla idea evidente di Leopardi, e m'immagino che qui sia in qualche modo accen102

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