voluto veder rappresentato in questa scena. Basti rilevare, in questo senso, come l'affermazione di Agamennone, di accettare la piena responsabilità del comando militare, e di tutti gli atti che vengono commessi dai Greci (291), è sorprendentemente seguita, prima del verdetto di Calcante, dalla rinuncia a reagire alle ingiurie di Pirro, «queste sfrontate parole potevo reprimerle, certo, per tuo male. Ma la mia spada è pietosa (scit parcere) perfino ai prigionieri», 349-51. La clementia nei confronti dei prigionieri appare ovvia, e sembra riecheggiare il virgiliano parcere subiectis di Eneide 6,853; meno chiaro è perché Agamennone estenda la sua clementia anche nei confronti di Pirro (smentendo, se si vuole, l'enoplio del celebre verso virgiliano, et debellare superbos). Considerazioni di questo tipo inducono a non scartare il giudizio che sulla figura di Agamennone è stato formulato, fra gli altri, da Steidle e da Paratore, per i quali il personaggio in questione susciterebbe, soprattutto, un'impressione di debolezza e di meschinità 7 • Le diverse interpretazioni che sono state proposte della figura di Agamennone nelle Troiane filtrano in realtà aspetti diversi della figura stessa, e rivelano un'ambiguità che coinvolge, più in generale, il discorso sulla guerra che l'azione drammatica di Seneca lascia trasparire. Questo discorso di Seneca sulla guerra è rivelato soprattutto dagli scarti che caratterizzano l'azione drammatica delle Troiane rispetto a quella delle due tragedie di Euripide che ne costituiscono il modello, l'Ecuba e le Troiane. Dalla tragedia omonima di Euripide, in particolare, Seneca recupera la vicenda di Astianatte, il figlio fanciullo di Ettore ed Andromaca, nipote di Priamo, che i Greci sacrificano per favorire il proprio ritorno in patria; dall'Ecuba deriva la vicenda di Polìssena al centro dello scontro fra Pirro ed Agamennone. Per i tratti positivi che la figura di Agamennone evidenzia, la clementia e la solidarietà con i vinti, Seneca svilup85
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