Il piccolo Hans - anno XIV - n. 56 - inverno 1987

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica 56 inverno 1987 Virginia Pinzi Ghisi 5 La protesi va alla guerra Sergio Pinzi 11 Nevrosi di guerra in tempo di pace Italo Viola 31 Trincea, prigionia: umanità di lingua italiana" Giuliano Gramigna 65 A Doncières comme à la guerre Fabio Stok 80 La guerra in scena, da Euripide a Seneca Mario Spinella 104 "Comprendere l'incomprel)-sibile" Gianfranco Gabetta 130 Asystasia. Miniature della guerra come metafora filosofica Fulvio Papi 145 Immagini della guerra nella tradizione filosofica moderna MINUTE Morando Morandini 177 Due o tre cose su Hollywood e la guerra Marta Castigliani 195 Il discorso della guerra DOCUMENTI Luigi Pagliarani 206 Fornari, la polemologia e un lapsus della psicoanalisi INDICE

Il piccolo Hans rivista di analisi materialistica direttore responsabile: Sergio Finzi comitato di redazione: Contardo Calligaris, Sergio Finzi, Virginia Finzi Ghisi, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella, Italo Viola. a questo numero hanno collaborato: Marta Castiglioni, Sergio Finii, Virginia Finzi Ghisi, Granfranco Gabetta, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Morando Morandini, Luigi Pagliarani, Fulvio Papi, Mario Spinella, Fabio Stok, Italo Viola. redazione: Via Nino Bixio 30, 20129 Milano, tel. (02) 2043941 abbonamento annuo 1987 (4 fascicoli): lire 35.000, estero lire 52.500 e.e. postale 33235201 o assegno bancario intestato a Media Presse, Via Nino Bixio 30, 20129 Milano Registrazione: n. 170 del 6-3-87 del Tribunale di Milano Fotocomposizione: News, via Nino Bixio 6, Milano Stampa: Litografia del Sole, Albairate (Milano)

La protesi va a(la guerra ,[l cielo era quasi sereno. Dei contadini lavoravano la terra. .«Ma voi, che cosa sapevate?» «Mah, vedevamo salire del fumo. » «E che cosa facevate?» «Mah, noi lavoravamo.» La guerra era passata, ma ancora restava la fantasia che catastrofe e salute potessero coincidere. «Qualunque sforzo di darci la salute è vano... Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa ordigni fuori del suo corpo, e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa... I suoi primi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto... Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute.» · La storia del soggetto si fa attraverso la «protesi», che non è un oggetto supplementare a una mancanza, ma l'impalcatura stessa cui si rifà l'apparato psichico. La protesi è necessaria per vivere, come la sedia dello studio di Van Gogh non era un oggetto per un quadro da dipingere, ma il mezzo per 5

dipingere il quadro, e la sedia del piccolo Hans mantiene misteriose relazioni attraverso il fapipì che le manca con la possibilità di definire il «vivente». Nella topologia del «luogo della fobia» compare, abbiamo visto, la prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico. In questa configurazione, si fa chiara la funzione della protesi che è esterna al soggetto in quanto mezzo attr;averso il quale è possibile reperire una corrispondenza o una non corrispondenza tra le forme della natura e del soggetto. Il funzionamento è simile a quello del tubo, risultato di una superficie che si trasforma in volume e che per il soggetto, dalla prima infanzia, attraverso la latenza fino all'adolescenza è il conduttore dei fluidi, dello sperma e del metano, nelle canalizzazioni che attraversano la natura e il corpo dell'uomo. Ma c'è un altro funzionamento della protesi, tessuto a quello che ci ha tracciato ora Svevo. La protesi non si fa rappresentazione, ma cresce nel corpo fino anche a impadronirsene, e finché la protesi occupa una gamba possiamo rimanere nell'ambito della nevrosi d'isteria, quando piuttosto che divenire rappresentazione si fa rappresentativa, siamo nel campa della perversione, quando dilaga a coprire l'intero organismo allora sì la catastrofe è vicina e possibile, ma non è certo la catastrofe che porta a questa pulizia invocata. L'illusione di una salute che esca dalla catastrofe è l'illusione di una follia comandata, è una follia letteraria. La psicosi gode di fatto di una certa «lucidità». La lucidità, il netto contrasto della luce sul buio, il profilo del portone sul quale si sta per sbattere, il bianco e nero di sciatori sognati, preludono tutti all'apparizione di das Ding , l'impatto di faccia, terribile, tenuto a bada e stuzzicato dal soggetto con la silhouette. Una «lucidità» segue anche la catastrofe. Per un attimo è il sospendersi del peso immane della nevrosi, è la sensazione, giacché il trauma passa inavvertito, di un istante di libertà, in cui scompare la nebbia che offusca la vista dei det6

tagli. Ma qualcosa, anche se inavvertito, perché inavvertito, è passato e già prepara le ripetizioni successive. «Oh, quei giovani con lo zaino, con la baionetta, con i mantelli e le scarpe lordi di fango e di sudore! Ma ecco là un nostro amico, ecco Giovanni Castorp... Ecco, egli calpesta la mano di un compagno caduto, calpesta quella mano con le sue scarpe chiodate, la sprofonda nel terreno fangoso coperto di rami spaccati. Eppure è lui. Ma come? Canta! Come si canta per via, senza saperlo, con gli occhi fissi nel vuoto, così egli adopera il suo fiato mozzo per modulare a mezza voce: V'ho spesso un nome inciso il nome del mio cor. » Liberarsi dalla nevrosi attraverso il trauma è la tentazione perenne del nevrotico, ma la liberazione non è che di un istante. Gli occhi fissi nel vuoto sono quelli del traumatizzato, i cui «momenti di essere» non lo salvano, come anche l'eroe di Virginia Woolf, da una guerra passata. Che cosa dice zio Tobia della guerra? Alzatosi dal letto e · trasportata dalle coperte fino a in fondo all'orto la costruzione accurata che rappresenta il luogo «dove è stato ferito» anni prima in battaglia, l'abbiamo visto predisporre fortificazioni e trincee come se la rappresentazione valesse a impedire, nella ripetizione, che la ferita ci sia stata. Egli, mostrandoci con la doppia valenza del «dove», la collocazione della ferita sul corpo e il luogo circostante dove il fatto avvenne, la natura del luogo della fobia di cui ci dà una visualizzazione in fondo all'orto, quel luogo all'inizio della storia psichica del soggetto che funziona come rappresentazione esterna dell'apparato psichico (due adiacenze, un interno spesso e un esterno, attraversati dalla barriera «molle»), una mappa, il terreno circostante, e insieme il 7

punto di insistenza delle pulsioni, mostrandoci il luogo della fobia ci dice qualcosa anche sulla protesi. Sul «dove è stato ferito», zio Tobia fa funzionare un sistema che vale ad annullare la ferita che pure continua a supportare il sistema. La mostra della protesi che la fila di reduci offre agli sguardi degli astanti chiarisce la sua natura. Non è solo una gamba innestata nel punto in cui la propria gamba è stata tagliata, non è solo la mano di ferro e l'articolazione del gomito, non è solo la calotta cranica o la mascella spazzata via dallo scoppio. La protesi è l'intera manifestazione esterna dell'apparato psichico, è tutta la rappresentazione che zio Tobia struttura in fondo all'orto, e sul territorio si operano così le stesse azioni che negli anni dopo la guerra vedremo attribuire da Freud alla forma dell'Es, gettare, penetrare, cedere il passo (vedi seminario 1986-87, S. Pinzi: Evoluzione della clinica freudiana): gettare bombe, penetrare nel territorio nemico, effettuare una ritirata strategica (n�n si torna dalla guerra con una gamba sola, ci si va); giacché la sua funzione non è solo quella supplettiva di una mancanza comparsa a un certo punto, ma tende a restaurare un intero che tuttavia fin dall'origine è impossibile. La protesi si collega a questa origine, che è l'origine del soggetto come «metà» del nome del padre, e in una frammentazione minacciosa e disseminatrice di cui stiamo quest'anno incominciando a decifrare la natura. È a questa origine che si rifà la ripetizione. Che è, essenzialmente, il riprodursi della prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico: la protesi riguarda questa impalcatura del soggetto, la figura del reduce e non del guerriero è quella rappresentativa della guerra che si inscrive nella ripetizione (vedi il seminario di quest'anno, UlyssEs), e ci illustra il funzionamento dell'alternanza tra salute e malattia. È dal versante della «salute» che il 26 luglio 1914 Freud scrive ad Abraham: «Caro amico, nello stesso momento in 8

·cui la dichiarazione di guerra viene a mettere in subbuglio la pace della nostra stazione termale, mi arriva la vostra lettera che mi porta finalmente un sollievo. Eccoci finalmente sbarazzati di Jung!». Nella notte limpidissima (buio e luminosità), l'annuncio per radio: «È scoppiata la guerra» si accompagna nel bambino di Go-ne-go: à la guerre comme à la guerre alla sensazione di sollievo di essersi liberato della sorellina. Qualcosa ci si chiarisce di quella che è sembrata tante volte la paradossale attesa della guerra come di un bagno di salute, come se la lucidità della coscienza fosse in qualche modo evocata dall'esplosione e dallo scoppio. Non è solo Zeno Cosini a avanzare che forse solo la catastrofe può riportare la salute. Non è solo Hans Castorp a lasciare la montagna incantata, in una guarigione che lo immette nella guerra: eccolo là, è lui quello che vediamo avanzare con gli occhi fissi, calpestando mani e affondandole tra rami spezzati, cantando senza saperlo una canzone in cui si parla di un cuore inciso sulla corteccia degli alberi. La protesi opera il congiungimento tra l'uomo e la natura, le mani sono i rami spezzati, come il cuore è esterno, portato a formare una ferita nella corteccia degli alberi, come il viadotto in Untere Viaductgasse, dove il piccolo Hans di· Freud ha per primo collocato il suo «luogo della fobia», è un'arteria che corre lungo la strada. La ferita interrompe questo congiungimento, ed è da ciò che viene il bagliore, la coscienza dell'uomo che si intrawede per un attimo re del suo destino, di un destino che appartiene all'uomo, e questa nitidezza è la linea scura del portone contro l'abbagliante luce del rettangolo aperto dal basso ritaglio della portina, contro il quale si va a sbattere la testa, ricavandone, per un attimo, la sensazione del benessere. La nevrosi si solleva, la visione si fa nitida, i colori vividi. L'urto, lo choc ha sospeso le costruzioni pazienti e articolate che il soggetto ha posto tra sé e il proprio fondamento psicotico, ci ritroviamo, ed è questo il fascino e la tentazio9

ne, faccia a faccia con l'origine. La negazione della discesa dell'uomo pone di fronte all'attualità del godimento del padre. Ciò che si costruisce e decostruisce dopo una guerra e in attesa di una guerra è, macroscopicamente, il funzionamento della ripetizione nell'arco degli choc, degli urti, e degli scoppi che incidono nella storia del soggetto. La guerra non essendo un fatto collettivo, ma la somma di piccoli sforzi individuali, come la somma delle piccole differenze darwiniane, e sono gli individui che la mandano avanti con le loro infime spinte e segnalazioni. Che cosa cerca zio Tobia, preparandosi con il suo fido assistente, sempre più alla guerra, con lo scopo di annullare nella protesi del luogo il dove della ferita, ma anche con quello, opposto, di spazzare via difese e costruzioni perché · rifulga il perché inspiegabile della sua origine? Siamo così, come stiamo per vedere, legati all'eventualità di un'esplosione in quanto, principalmente, essa è passata. Virginia Pinzi Ghisi 10

Nevrosi di guerra in tempo di pace Io credo che esista una scrittura del trauma, un alfabeto di piccoli choc, che va a comporre la prima pagina dell'esperienza quotidiana (e l'editoriale dei sogni più «teorici»). Siamo bombardati dai segni, la loro somma incomprensibile è la psicosi, ma in altre forme ci interpellano, dalle nevrosi traumatiche o da quelle di guerra di cui vorrei qui parlare. Incominciando da un sogno di segni, riassuntivo in anticipo di ciò che dirò e che da prima mi occupa la mente. Un sogno teorico-infantile di cui cercherò di de-celare il sapere. La prima immagine è una donna che in macchina parla animatamente con qualcuno accanto a lei e intanto compie i gesti del linguaggio dei sordomuti, ha gli occhi aperti, parla, a che servono allora quei segni? L'uomo che le è vicino risponde bruscamente, sgarbatamente. Si tratta della scena di un film che passa su un piccolo televisore in un drugstore. Seduti su un divano (il televisore troppo vicino alle gambe di mia moglie) ci diciamo che il film è ricavato da quel giallo che avevamo letto... Il televisore incomincia a fumare. Tocchiamo le prese. Ma poi una donna scende a cercare aiuto. Risale, una donna più gio�ane, vestita da inserviente, con una presa nuova. E una donna grossa e anziana quella che si china però ad armeggiare con le prese. 11

È notte. Devo raggiungere i miei genitori in un posto dove forse c'è una festa. Siamo in piazza Castello e io faccio notare a due miei compagni che se ci fosse più traffico e più luci, Milano sarebbe come Parigi. Propongo ai due, uno dei quali è Boncompagni, di fare un pezzo a piedi, di andare fino alla prossima fermata della metropolitana. Noto su un torrione del castello una bellissima fioritura e mi slancio in nuovi elogi di Milano. Ma a quel punto come a raffreddare il mio entusiasmo, vedo un lmigo striscione della coca-cola che scende dall'alto e offre uno sconto a chi ne acquista una data quantità. La terza scena è una specie di ambiente ospedaliero, di ambulatorio o Usl dove parlo con il medico che dovrà farmi un piccolo intervento chirurgico. È magro, segaligno, scherza e firma confusamente una ricetta o una prescrizione. Poi ci torna su e commenta dicendo di stare attenti a non coritagiarlo con la nostra paura. Nell'allontanarci mia moglie mi fa notare che ho dimenticato di dirgli di non asportarmi un neo che ho sulla schiena (lo vedo, parlandone, è un neo scuro). Lo striscione della coca-cola era rosso. Il principio del, sogno enuncia un primo principio: il linguaggio verbale è doppiato da un altro linguaggio, un linguaggio di cenni. Questo linguaggio non ha niente di vago, di allusivo, giacché coincide con il linguaggio esatto, codificato, dei sordomuti. Un linguaggio per cenni. Un linguaggio muto. Il riferimento alla sordità è isolato e separato dal sogno che ambienta la scena all'interno di un'autovettura: non si sente per questo, non perché qualcunò sia sordo. Muto è allora questo linguaggio come l'azione dell'istinto di morte, muto e inavvertito (sordo è il sognatore) come il verificarsi di piccole differenze graduate da cui dipende eros e morte, sopravvivenza e scelta sessuale di ogni vivente. 12

I messaggi non verbali si incrociano all'interno- del sogno: orizzontalmente la Teoria, la preoccupazione di raggiungere una formulazione teorica, interpella il Castello; verticalmente lo striscione cala ed è ritirato, una scala sale e scende fino al sottosuolo dove un'altra direzione orizzontale, parallela alla passeggiata in piano, ha luogo: la metropolitana. Vi sono inoltre due marche di colore: il giallo, del libro giallo, e il rosso, dello striscione. Un'altra indicazione che potrebbe passare inavvertita riguarda il tono brusco del personaggio in auto, cui fa da pendant la bruschezza di modi del medico in fondo al testo sognato. Dalla posizione, all'inizio e alla fine, di queste «caratteristiche» se ne desume l'importanza per il nostro lavoro successivo: il cenno è per il trauma. Mi propongo infatti un'analisi microscopica del trauma, non perché se ne effettui una scomposizione negli elementi minimi, ma perché esso stesso ci risulterà minimo come sarebbero per esempio gli effetti di un improvviso innalzamento della voce, o di uno scherzo fuori luogo, o di uno spavento, magari indotto, dopo una serie di rimbalzi di persona in persona, motivo di pensare al pericolo di contagio. E mostrerò che esiste una gradazione nel trauma. Tutto questo sembra molto cortese ma le forze in gioco riguardano il Terribile.1 La via che sale, con la scala da fare per ottenere lo sconto, ma anche con lo striscione che viene lentamente ritirato, illustra la revoca delle teorie sessuali infantili in cui consiste il virare, come per un intensificarsi della luce, della perversione in psicosi. La via che scende, la «sotterranea» fa pensare alla morte. Di fronte al pericolo dell'Eros, le prese e la televisione richiamano la genitalità osservata nella scena primaria, sentito come pericolo di morte, la Teoria invoca il Castello, da cui vengono in aiuto le teorie sessuali infantili, che portano la possibilità di una passeggiata in superficie, di 13

rimandare il momento di prendere la metropolitana, di sospendersi a un bello lucente e periglioso (più luci!) in cui spiccano alcuni colori (giallo, rosso) in un impasto di luce e di ombra che sfocia infine nel concretizzarsi di una luce buia o di un buio luminoso: il neo(n) scuro. Il «sublime» è questo, una luminosità vicinissima alla perversione (la quale non tollera «sconti»)2 che esalta una fioritura mentre lascia gravitare minacce di follia e di morte. Due tulipani in un vasetto nel film di Ernst Lubitsch Partita a quattro che nel 1933, l'anno stesso dell'avvento di Hitler, impensabilmente negli stessi giorni, esalta nel modo più grazioso la promiscuità sessuale cui l'attrice, tra il marito e due amanti, non intende di rinunciare. Il giallo, il rosso, gradazioni del sole, evocano l'immagine paterna. Le ritroveremo nel legame che si evidenzierà tra gli attributi della figura del padre e la nostra nevrosi di'guerra in tempo di pace. Un colore copre la paura (giallo - thriller), mentre qual-. cosa sta per scoppiare. La fine della prima guerra mondiale giunse troppo presto per Sigmund Freud. Come scrisse a Sandor Ferenczi il 17 novembre 1918: «Anche la nostra psicoanalisi ha avuto poca fortuna. Non appena il mondo cominciava a interessarsene a causa delle nevrosi di guerra, arriva la pace, e per una volta che ci imbattiamo in una fonte di tranquillità, questa si estingue subito. La sfortuna accompagna regolarmente la vita. Il nostro Regno non è evidentemente di questo mondo».3 Al di là della desiderata pace, la conclusione del conflitto gli sottrasse infatti un oggetto di studio al quale teneva più di quanto non lascino intendere le due brevi note che gli dedicò: l'introduzione al libro Psicoanalisi delle nevrosi 14

di guerra (con scritti di Ferenczi, Abraham, Ernst Simmel e Jones) e la perizia affidatagli dalla commissione d'inchiesta sui trattamenti elettrici dei nevrotici di guerra. Quello delle nevrosi di guerra è un fenomeno carsico. Freud le vide scomparire di colpo nel 1919 e gli dispiacque non esistendo più ostacoli alla dimostrazione e all'approfondimento delle cause psichiche di questa malattia; ora dobbiamo forse, vedremo come, reintrodurne la nozione per comprendere, e superare, certe difficoltà della clinica delle nevrosi del tempo di pace. Vi sono casi infatti che non sembra possibile ricondurre pienamente alle forme classiche dell'isteria e della nevrosi ossessiva. Presentano sintomi di entrambe come in un conato di perfezionarne il quadro, eventualmente unificandole, ma nel sovrapporle, lasciano scoperti gli orli come in una fotografia mossa o in un ricalco mal riuscito. La caratteristica principale in questi casi è di essere leggibili solo alla luce di una sfida impossibile: l'Edipo, la sessualità, l'infanzia, il carattere, tutto sembra passare in secondo ordine rispetto a un problema di sopravvivenza. Queste nevrosi si presentano innanzitutto come nevrosi di sopravvivenza. Solo che non si tratta della lotta ordinaria che si pone come un aut aut: o io o lui rispetto a· persone sullo stesso piano, come il coniuge, come i fratelli, o legate da un nesso di diretta discendenza, come le foglie al ramo, come i figli ai genitori. Il problema in questi casi si pone differentemente e precisamente in questi termini: come sopravvivere a qualcosa che non c'è più? Come si sopravvive al nonno? Come si sopravvive al morto? Un soldato è stato ucciso ma a morire è Clorinda e, quel che è peggio, non completamente, l'attende la trasformazione in albero di una foresta magica e il destino di versare il sangue di nuove ferite infertele, senza saperlo, dall'uomo amato. Il lutto in cui vive il nevrotico dilguerra, è misto a un costante stato di allerta: perché il, morto non 15

ritorni. E il sentimento di vivere come una reincarnazione, gli fa desiderare soprattutto che la propria morte debba essere una morte senza resurrezione. Come è possibile trovarsi impegnati in una lotta a morte con qualcuno che è scomparso, se il nonno è morto, o non appartiene comunque più se non marginalmente, data l'età, alla nostra vita? Questo primo tratto con cui è possibile connotare una «nevrosi di guerra», sta a indicare che qualcosa di strutturale è impegnato in questa lotta. Non è una lotta per ambizione, invidia, rivalità tra pari, ma non è nemmeno la spinta a prendere il posto del padre. Il morto di cui si tratta è il morto rispetto al vivente, quella connotazione cioè che abbiamo altre volte visto costituire il primo passo, sull'orlo tra angoscia e luogo della fobia, all'età di quattro anni, nella formazione del soggetto di fronte alla prima rappresentazione esterna dell'apparato psichico. Il vivente portava (vedi il caso freudiano di Hans) la connotazione del pene e seguimmo nel caso del piccolo Giacomo4 come il nonno, unito al fuoco, dovesse essere messo a contatto con un acqua (nonna) al maschile, perché con l'attribuzione di un pene alla nonna fosse possibile respingere il nonno al di là del limite del vivente. Solo così, per Hans, per Giacomo, per il piccolo Riè:hard di Melanie Klein, era possibile che «i morti non tornano, vero?»5 Quella in cui si trova ingaggiato il «nevrotico di guerra» è questa lotta, lotta del soggetto per la propria sopravvivenza in prossimità di quel luogo psichico, ma esterno ritaglio di realtà, che abbiamo individuato appunto come «luogo della fobia»: contemplato da Hans, da Richard, dal piccolo Darwin, dalla finestra, e attraversato da una barriera, la barriera del Dazio, che abbiamo chiamato molle, giacché viene con percorsi immaginari tentata là dove è chiusa, mentre l'apertura realmente esistente per esempio nella cinta del Dazio di Hans, viene 16.

completamente ignorata. Il diverso rapporto con la barriera determina diverse strutture riguardo alla nevrosi, alla riuscita di una nevrosi, o alla perversione (per la quale la barriera nori esiste) o alla psicosi (per la quale tale rappresentazione esterna dell'apparato psichico è mancata). Mentre vedremo in seguito che cosa è questa barriera per il nostro nevrotico di guerra, incominciamo dunque a considerare questa «lotta» che vi si svolge accanto. Mentre nell'isteria la malattia può essere una conversione isterica che indica come parte del corpo divenga un segno nel senso della comunicazione, nella nevrosi di guerra, come vedemmo per i lombrichi per i quali il segno del cuneo che essi scelgono per turare i buchi è il loro stesso corpo, cuneo è lo stesso lombrico che sommuove il terreno e innalza piani di costruzione,6 il segno è pesante, coinvolge l'intera struttura del corpo, non si configura come segnale, parte di un discorso, ma, nei casi di cui mi sono servito per tracciare questo nuovo insieme clinico, precede il linguaggio. Questi pazienti tendono a cadere ammalati con una certa facilità, ma i loro sintomi non dicono niente, non sono conversioni che parlano ai medici per farsi intendere dagli psicologi, la loro è veramente una malattia misteriosa, nel senso che tiene strettamente il segreto: si tratta di spasmi, di trombi, di ferite interne che gemono per riaprirsi: ombre di incerta interpretazione radiologica, fatti di difficilissima definizione medica, dei quattro casi di cui mi servirò in questo lavoro per due c'è stato un sicuro accertamento medico che si è svolto del tutto indipendentemente dall'analisi in corso, e tuttavia non traducibili ad sensum in psicologia. Lo psicoanalista sente incombere sulla cura la minaccia che una malattia grave ne ostacoli o ne impedisca definitivamente il proseguimento. D'altra parte il suo procedere, benché denso di apporti significativi, non sembra 17

condurre a quei risultati liberanti e disinibitori che sarebbe lecito attendersi. Il paziente è in gara anche col tempo dell'analisi e la posta in gioco è solo la sopravvivenza. L'analisi sembra mantenerlo in vita (soprattutto per l'astinenza che egli ritiene essergli imposta e in cui concentra la sua libido), ma tutto è già accaduto e niente può più essere modificato. In analisi il paziente ci va come alla guerra, con disciplina e persino qualche entusiasmo, il suo intento principale sembra in ogni modo quello di svuotare tutta la sua vita amorosa onde lasciar sussistere il puro allarme di una «nevrosi da pericolo»,7 come a voler confermare la vecchia distinzione fra nevrosi che hanno un'etiologia sessuale e nevrosi che nascono da traumi o da choc bellici. Riconosciamo la modalità di una resistenza specifica: sfidare l'analista a provare le sue armi, quelle della psicoanalisi, nell'«unificare in un'unica concezione le due fattispecie apparentemente divergenti».8 Di fronte all'ipotesi che ho avanzato, mentre il primo tratto distintivo della lotta per la sopravvivenza scopre le condutture sotterranee a cui si àncora, lo psicoanalista non si sente poi tanto sicuro di poter essere garante che di analisi non si muore. In questo la sua posizione è assimilabile a quella di un giovane psichiatra che, prima di intraprendere la supervisione psicoanalitica, si era trovato a rispondere al figlio di un suo paziente che gli chiedeva di essere da lui curato insieme con il padre che, pur non potendolo per ovvi motivi accontentare, pensava tuttavia che anche con un altro medico egli avesse buone possibilità di «guarire». Il suicidio del ragazzo giunse presto sconvolgentemente, come l'epigrafe kierkegaardiana al sacrificio di Isacco, a rovesciare quella ottimistica previsione: la malattia era mortale. Il pericolo è evidente in questo tipo di analisi quando, - e mi riferisco al caso di una donna, madre di famiglia, ma abbastanza giovane da essere stata appena sfiorata dal18

l'ultimo conflitto mondiale -, quando a ogni rombo di guerra, come il bombardamento americano in Libia, o persino a ogni scoppio, esiguo come quello di un petardo maneggiato incautamente da un bambino, è un trombo, un'ectasia, una seria infiammazione, una insospettata anemia, che in corso di analisi la colpisce al modo e con gli effetti, di urti e di crepe, di perdite e di fuoco, con cui le bombe martellarono la città da cui, piccolissima, fu fatta fuggire. E si tratta, si badi bene, di scoppi di una guerra da cui decine d'anni ci separano ormai. Una guerra di cui nessuno, certamente, che l'abbia combattuta, o anche solo vissuta in età di ragione, porta più i segni di choc, giacché come disse Freud, «con la fine della guerra scomparvero anche i nevrotici di guerra,»9 Senonché la guerra continua ad agire a tutti i livelli della sua complicata e varia drammaturgia.· Abbiamo visto come «scoppio». Ma la guerra è anche mutazione di fortune, contrazione di un debito per i superprofitti realizzati o di crediti per le distruzioni subite. La guerra mette in moto una tettonica a zolle che scioglie gli imperi, strappa e annette territori agli stati, determina contrazioni e dilatazioni di potere e ricchezza, effetti, «conseguenze economiche della pace», per dirla con Keynes, che portarono anche Freud a concepire un apparato psichico conformato in modo da rispecchiare questi mescolamenti e combinazioni. È impossibile sopravvalutare l'importanza per un'analisi, di una pratica per «danni di guerra» (o viceversa di strascichi fiscali) che, a causa di lentezze burocratiche, si protrae tuttora. Si riflette in queste lungaggini, la continuità con cui, le propaggini, di fronte a ciò, discendenti che la guerra ha risparmiato, nati negli anni '50 o nei primi '60, amministrano a loro volta un'eredità che li riconduce, come i trattati di Parigi dopo la prima guerra mondiale, dalla guerra alla guerra. Tentano per arricchirsi le 19

vie della propaganda e della corruzione, medici si prestano a sperimentazioni sui malati nell'interesse delle case farmaceutiche, trascurando le possibilità di guadagni cui le proprie capacità li dispongono. Disperdono le ricchezze delle proprie sostanze sessuali cercando i parassiti e le malattie cui pure sarebbero per ufficio chiamati a porre rimedio. (Una primaria responsabilità dei medici, e dei tecnici, nel favorire i primi successi di Hitle� ci aiuta forse a comprendere come nel servizio sanitario competenze e mezzi più che adeguati si accompagnino, negli utenti, a costante allarme ed emergenza). Reclamano e respingono i beni che i fratelli contrastano loro. Si strappano a un territorio, si deportano in un altro. Viaggiano come su una tradotta. Si danno prigionieri. Ma se in questi ora descritti riconosciamo fenomeni di transfert che utilizzano per manifestarsi in analisi, i residui di lontani sommovimenti bellici, quelli che soprattutto ci interessano sono i caratteri, gli aspetti strutturali, delle specifiche nevrosi di guerra in tempo di pace, di cui abbiamo visto come siano differenziabili da una ingiustificata, perché accompàgnata da una forte costituzione fisica, fragilità di salute: una fragilita inscritta addirittura nelle cellule che in certi casi, per un eccesso di trombossano nel sangue tendono a creparsi, a scoppiare, a lasciarsi penetrare; e questo accertamento medico ci dice già qualcosa ·su cui poi torneremo: la barriera «molle» per il nevrotico che si manifesterà subito dopo i quattro anni nella nevrosi ossessiva o, in seguito, nell'isteria, è, per il nevrotico di guerra in tempo di pace, una barriera della· cui esistenza si è portati, evidentemente con qualche ragione, a dubitare: esiste, o è già crollata? C'è dunque qualcosa di minato, delle mine nascoste, un terreno minato che l'analista si trova ad attraversare. La nevrosi di guerra è penetrata nel tempo di pace. Ma questo si è reso possibile perché essa si definisce in relazione non alla guerra, ma al padre. 20

I nevrotici di guerra in tempo di pace portano si potrebbe dire la croce. E questa croce è formata, come dei due legni famosi, degli oggetti dell'amore e dell'odio del padre. Gli stessi ma intrecciati, intersecati. Il luogo della nevrosi di guerra è un crocevia, ma l'incrocio è sessuale. Figlia di padre ebreo e di madre cattolica, ebrei e cattolici di famiglie rigorosamente osservanti, la seconda paziente della nostra serie vive relazioni amorose in cui viene regolarmente maltrattata come un'ebrea da dei gentili e nello stesso tempo prende su di sé imitandole scrupolosamente, con la sanzione del medico curante, le malattie della madre. L'appartenenza del medico a una nazione che mantiene dalla guerra il connotato della neutralità veglia sul mantenimento di una situazione che prese forma al momento in cui bambina di non ancora quattro anni, la paziente vide il padre in atteggiamento affettuoso con la madre e catturò, come direbbe Freud, come in un flash il «tema dei genitori». L'analisi diviene il luogo dell'incrocio dei sintomi e può accadere che sia dal lato dell'analista che trovano una via per esprimersi «forze pulsionali di natura sessuale»10 che una paziente continuamente espelle dalla propria sintomatologia traumatica. È sorprendente pensare per esempio che un analista dal cognome inequivocabilmente ebraico possa vedersi attribuire da una paziente la fredda intransigenza e gli occhi azzurri del popolo, il tedesco, sotto il quale il di lei padre servì durante la guerra. E che lo stesso analista, estraneo quanto più si può esserlo alla mistica ebraica ed esente da ricordi di vera e propria persecuzione, riesca nello stesso giorno a mettersi così abilmente sotto la direttiva di una gomitata della moglie da farsi sanguinare il naso proprio, e lo capirà rivedendo le sedute di analisi della paziente, come il poeta ebreo di cui aveva appreso il lungo e doloroso martirio subito in carcere. In tal modo l'ambito spostato di una <' 21

«calda» relazione coniugale mostra di che si tratta in realtà nella apparente ripulsa che la paziente mostrava per l'oggetto di amore, il nazismo, del padre. Solo al ritorno del padre dalla guerra un'altra paziente, non mia, fu concepita. Della guerra ella dunque non conobbe altro che i racconti e direttamente solo le scritte in tedesco che ancora restavano su qualche muro al paese della nonna quando imparò a leggere. Sogna però una gonna tutta scritta di parole tedesche e, nella sua vita, da un lato si consacra allo studio di quella lingua, cui certo non andavano le simpatie del padre che era stato partigiano, e dall'altro intesse relazioni amorose esclusivamente con ebrei nei quali però ricerca il disprezzo, germanico, per la non correligionaria. È interessante vedere in questo incrocio, come il sogno lavori a isterizzare la paziente spostando le parole dall'essere scritte su un muro, da segno a segno con una valenza tutta diversa, a·linguaggio del corpo (la gonna «parlante»), con lo stesso tentativo che prima ho segnalato passare per l'analista, di rintrodurre una libido assente e, in questo caso, di volgere in isteria la «nevrosi di guerra». Ma in questo gioco enigmatico di forze si stabilisce per la nevrosi di guerra una ulteriore distinzione dalle nevrosi conosciute. Non v'è alcuna ambivalenza e non si tratta di nessuna delle tre identificazioni postulate da Freud, ma è in gioco una doppia identificazione che ha tuttavia caratteri di tutte e tre. Dell'identificazione isterica vedremo godere del «contagio», secondo però una modalità peculiare, dell'identificazione a un tratto rileva l'assunzione di un connotato, ma rispetto all'identificazione al padre connota la sua proprietà: la doppia identificazione si pone, distintamente, con gli oggetti dell'amore e dell'odio del padre. La «costituzione bilateralmente simmetrica» di Fliess11 riguarda questa impossibilità frustrante di far coincidere, due disegni, due profili. Una destra e una sinistra non· 22

sovrapponibili rappresentano nella vita di questi soggetti, e spesso anche vengono raffigurate nei sogni, un congegno della natura funzionante in modo da lasciare la destra all'oscuro di ciò che fa la sinistra, e questo è il loro inconscio, perché destra e sinistra non appartengono allo stesso individuo. Come nella «fantasia fanciullesca» di Goethe Il novello Paride, 12 un bambino che indossa un panciotto bianco ritagliato nel panciotto del padre si guarda allo specchio. Nella superficie piatta, nell'inversione speculare e col colpo in testa che poi riceverà, chi potrà più stabilire che cosa è suo e che cosa del padre? Si aprirà per il bambino la porticina segreta di un paradiso di libido narcisistica, dove guizzano pesci e uccelli e dalle dita fioriscono fanciulle colorate, dove i combattimenti saranno finti e i caduti torneranno in piedi, trionfo di fantasie masturbatorie che esaltate dall'erotismo promiscuo di un Lubitsch trovarono nello stupro della guerra, sotto il nazismo, la loro correzione. Il nazismo tende il suo arco tra i due estremi dell'intelligenza provocatoria della repubblica di Weimar (l'intelligenza presaga: «Parliamone con freddezza e senza passionalità come a una conferenza sul disarmo», del film Partita a quattro) e l'illimitata devozione verso il padre del presidente Wilson, un essere tutto parola, come lo dipinge Freud, indifferente ai segni di rovina e di morte che la realtà d'Europa gli mandava.13 Le càrole del sogno da cui siamo partiti, con le tre donne che si trasformano l'una nell'altra, motivo delle Grazie, quella che scende non è quella che sale, e questa non è quella che soccorre, replicate al maschile con Boncompagni e Arbore (in ombra) come in un giudizio di Paride un po' pervertito («donerai le mele ai tre giovani più belli della città che poi dovranno scegliere, ciascuno secondo la sua sorte, le spose che desiderano»), fanno da contraltare ai sogni di danzare in chiesa intorno al corpo di una 23

donna distesa, forse ferita, di un mio paziente il cui padre aveva fatto parte dell'esercito della repubblica di Salò. L'impulso ad amare e soccorrere una donna offesa, trova ostacolo in questo giovane nel non riuscire a non incontrare sul volto dell'amata il tratteggio fitto, la striscia scura verticale, dei baffi che ornano il ritratto dell'uomo riverito dal padre. Nel «disegno del rebus»14 un tratto del padre, la marca della sua supposta esperienza orgastica, si nasconde nel nome della madre. E così qui, dove nel cognome della fidanzata, assimilabile a Della Torre, perché vi compare una guglia, una punta, capace di allontanare dal soggetto la scarica del culmine del godimento paterno, si offre la possibilità di un rimedio, di un farmaco, che consiste, per dono di tinte come per l'acquerello di cui parlai15, nel decolorare la graziosa peluria sul labbro della fanciulla. Il tratto dei baffetti è solo un elemento nella tensione che ho altrove indicato nella «teoria dei due culmini». A una maturità genitale raggiunta al quarto anno di età fa riscontro, dopo la fase di latenza, la riapparizione della sessualità nell'adolescenza. Ma qui non è talora in gioco solo il godimento che si affaccia al soggetto come possibilità propria, ma l'affiorare del godimento paterno è più o meno drammatico a seconda dell'iscrizione di esso nel corpo del soggetto (abbiamo visto gli effetti del trombossano alto), come un gene paterno che ha come caratteristica di manifestare la propria pericolosità appunto nel1'età dell'adolescenza. La pericolosità è l'habitat delle nevrosi di guerra in tempo di pace. La consulenza freudiana del 1919 denuncia senza mezzi termini le deviazioni di psichiatri che posero, durante la guerra, «la medicina al servizio di intenzioni che sono estranee alla sua natura». Freud osserva che la brutalità dei trattamenti fu spinta fino a provocare casi di morte e di suicidio. Alcuni medici «seguirono la tendenza, tipica 24

dei tedeschi, di realizzare i loro propositi senza guardare in faccia nulla e nessuno, ed è questa una cosa che mai sarebbe dovuta accadere.» Il fallimento del trattamento elettrico dei nevrotici di guerra non chiuse tuttavia la questione: se è vero che i traumi bellici possono provocare, diciamo così, lesioni psichiche, come escludere che fra i malati si nasconda anche qualche simulatore, desideroso di evitare i pericoli del fronte? Il problema diventerà dunque di selezione e la psicoanalisi vi sarà nuovamente immischiata nei centri inglesi di «rieducazione» psichiatrica al combattimento guidati da Bion e visitati, a guerra finita, da Lacan che scriveva uno studio sulla «forma logica del sospetto». E una seconda volta, con i dullards inglesi, la nevrosi di guerra si sottrasse all'indagine psicoanalitica. L'atteggiamento di Freud è complesso da definire: egli denuncia la crudeltà dei medici e difende i malati con argomenti, fra l'altro, da «pacifista», sottolineando che «la paura di perdere la vita, l'opposizione all'ordine di uccidere altra gente, la ribellione contro i superiori che reprimono indiscriminatamente la loro personalità», sono fonti affettive valide a spiegare, e giustificare, «la tendenza dei soldati a sfuggire la guerra». Simulazione e crudeltà rispuntano però sul terreno stesso della psicoanalisi sia pure scambiandosi di posto: così Freud prende su di sé un pizzico della crudeltà tedesca nel consigliare lo psicoanalista a non deflettere dall'imporre delle privazioni a un paziente che si sia accomodato in soddisfacimenti sostitutivi a quelli assicuratigli dal compromesso nevrotico; d'altro canto smaschera il pittore dalla nevrosi demoniaca mostrandolo intento a manipolare allegramente ben due patti col diavolo pur di assicurarsi pane e tranquillità. Ma da questa mistura di simulazione e crudeltà scaturisce infine quella lucidissima definizione della nevrosi come una «buffoneria che si sovrappone alla lotta per la sopravvivenza»19 che faccio · 25

mia sul cammino di questo studio sulle nevrosi che volentieri chiamerei di sopravvivenza e nelle quali si ritrova quell'impianto finzionale che già mostrai accompagnare, necessario a farle tollerare e riconoscere, le nevrosi traumatiche dette da Freud anche «nevrosi di sopraffazione». Chiamato indirettamente in causa da Freud, Julius Wagner Jauregg, direttore della sezione psichiatrica dell'ospedale generale di Vienna, reagisce accusando l'antico compagno di scuola di essere soltanto un imitatore del francese Pierre Janet. Gli dà insomma del falsario ed è singolare come anche un serio studioso come Sulloway metta tutto il suo impegno a dissolvere la «leggenda freudiana» dimostrando che il padre della psicoanalisi non ha inventato niente: ha copiato e rubato ogni cosa a chi lo aveva preceduto o gli stava accanto. Una buffoneria e la lotta per la sopravvivenza. Siamo davanti a qualcosa che si ripete ma di cui non possiamo dire che si rinnova. Il buffone per eccellenza è Pulcinella e dietro Pulcinella, Jones ci ha abituati a scorgere il pene che cade e risorge, si abbatte illanguidito e si rialza pronto a colpire ancora. Il risveglio della Primavera potrebbe però non avvenire. È questo un motivo di profonda inquietudine nell'umanità primitiva che vede calare il sole, arrivare l'inverno, ma anche di angoscia iri una donna, la prima paziente di cui ho parlato, cui la guerra rapì, niente, ma dall'aver udito il racconto della crudele uccisione dello zio amatissimo dalla madre e del riaffiorare un giorno del suo cadavere dalle acque in cui era stato gettato, trasse il profondo impaccio amoroso e vitale di che cosa si fa quando a ritornare non è il vivente ma il morto? Una donna non più giovane sogna spessissimo di telefonare a un uomo con cui da ragazza ebbe una breve relazione. Più anziano di lei, quest'uomo è morto da molti anni, perchè dunque continuare a cercarlo? Contrariamente ad altri sogni in cui le persone morte 26

riappaiono, parlano e si comportano da vive, è caratteristica di questo sogno l'impossibilità, pari all'ostinazione con cui la sognatrice lo cerca, di mettersi in contatto con l'uomo. Nello specifico sogno in questione, il contatto è cercato attraverso un numero telefonico che inizia per due, un due che più volte ripetuto non porta mai al risultato della comunicazione. La sognatrice associa poi a questo due la prima cifra di 21, di una strofetta che ripete: 7, 7, 7 fan ventuno, arriva la Volante, non c'è più nessuno. Ecco che l'associazione ci dà il segnale del pericolo, 777, e il risultato è l'assenza, un'assenza inquietante, il pericolo si è spostato altrove (ed ecco marcata dal due la doppia identificazione). Ma la vera chiave del sogno, ciò che spiega la sua ricorrenza e la sua peculiarità, sta nel nome, Lazzaro, dell'uomo, che l'iconografia lega a un miracolo che consiste bizzarramente non nella risurrezione da morte (come quella di Cristo, splendente), ma nella risurrezione di un morto, fasciato dalle sue bende, che insieme la sognatrice sollecita e tiene a bada. Per altri il ritorno, fortunato, del padre dalla prigionia non lo fece per questo riammettere, agli occhi del figlio, nel novero dei vivi. E d'altra parte il padre visse il proprio ritorno a casa come un secondo matrimonio dando semplicemente per perduti, alla stregua dei figli nati dal primo matrimonio di suo padre e deportati in Germania, dando per perduti anche a lui i due figli avuti fino a quel momento e dedicandosi a concepirne, come già suo padre in secondo letto, altri due finalmente da amare. Ciò che ritorna nella nevrosi traumatica di guerra in tempo di pace non è il prolungamento dell'esperienza vissuta dai genitori, ma il dato acefalo, impersonale, del godimento del padre, fonte di una stuporosa femminilizzazione, prossima alla schizofrenia, insopportabile a uomini e donne che ne vengono così inibiti nell'espressione della loro 27

sessualità. Da questa bruta realtà dello stupro di una guerra soccorre la natura di finzione del trauma (che sempre si racconta in una «favola di Natale»: ricordiamo quella inviata il primo gennaio 1896 a Fliess da Freud, la storia atroce, reale, di una violenza perpetrata su un bambino, che deve passare per la figuretta goethiana di Mignon: Povera Mignon!, scrive Freud), il suo essere vissuto in seconda o terza persona, il suo essere spostato, come abbiamo appena visto, sullo zio materno, il suo essere semplicemente sentito dire. Il trauma di guerra è essenzialmente interpersonale: ecco come gioca qui il «contagio», non passaggio di sintomi ma di persone. E uno ne soffre nella carne, per non dire nelle cellule. Falsato o inventato di sana pianta, il trauma dice il vero provando per ciascuno ciò che Darwin dimostrò dell'uomo: che non c'è vera origine, perché la discesa dell'uomo non è umana. L'uomo discende da esseri inferiori: animali, ebrei, un cazzo? Come non tremarne fino a far assumere i connotati di un morbo di Parkinson alla nevrosi della malcapitata cui la ripetizione operata dal marito del destino del padre non lascia altra sorte che dividersi in quattro tra morti e viventi, come perpetuamente scossa dal trattamento elettrico riservato in guerra ai casi di choc? Priva di qualsiasi riferimento a una nevrosi di guerra, giacché il suo paese fu forse l'unico o comunque tra i pochissimi che restò del tutto estraneo all'ultimo conflitto, una mia paziente arrivò ad assegnare all'origine della sua vita le conseguenze di una futura nevrosi traumatica di guerra. La vicenda bellica in cui, per spostamenti di famiglia, venne molto in seguito a trovarsi, le permise infatti di pensare in analisi, ma spostato sulla persona del patrigno, l'eventualità di un suo desiderio incestuoso diretto sul padre, che aveva fatto parte dell'esercito, e che lei non aveva potuto conoscere perché scomparso poco dopo la 28

sua nascita. Se è possibile assegnare all'origine della vita una futura nevrosi traumatica di guerra, è perché il fattore guerra appartiene all'origine della struttura del soggetto e l'arco traumatico che in seguito farà la sua apparizione, verrà a rappresentare alcuni dei motivi intorno ai quali il soggetto stesso si era costituito. Lo studio delle nevrosi di guerra in tempo di pace e quello, come vedremo un'altra volta, delle modalità dell'arco traumatico, viene così a porsi in un punto cruciale per la psicoanalisi. Se il clima di lucidità20 , una lucidità sognata, che accompagnava i trattati di Parigi doveva preparare di fatto lo sfociare in una nuova guerra, la psicoanalisi riconosce nella «lucidità», la stessa nitidezza che accompagna la silhouette ed è foriera di das Ding, una delle connotazioni del trauma, l'avvisaglia del suo ripetersi. Sergio Finzi 29

NOTE 1 Cfr. Finzi S., Misurazione, calco e originale nell'analisi di un caso di psicosi infantile, «Il piccolo Hans» 53, primavera 1987; Finzi Ghisi V., Qualcosa del terribile: preliminare a uno studio della schizofrenia, «Il piccolo Hans», 51/52, luglio-dicembre 1986. 2 Cfr. in Finzi S., Il mistero di Mister Meister: scena e teoria della perversione, Bari, Dedalo, 1983, il capitolo Dialogo della natura e di un perverso. 3 Citato in Freud, Ferenczi, Abraham, Simmel, Jones, Psicoanalisi delle nevrosi di guerra, Roma, Newton Compton, 1976, p. 9. 4 Cfr. Finzi S. e Finzi Ghisi V., Nel disegno del rebus: manipolazione del nome del padre e deposito di una «unità di misura» nelle teorie sessuali infantili, «Il piccolo Hans» 50, aprile-giugno 1986. 5 Cfr. Klein M.,Analisi di un bambino, Torino, Boringhieri, 1971, 27 ma seduta. 6 Cfr. Finzi S., Il posto dell'Origine nel riconoscimento della psicosi, «Il piccolo Hans» 48, ottobre dicembre 1985. 7 Cfr. Freud S., Introduzione a Vari Autori, Psicoanalisi delle nevrosi di guerra, cit., p. 27. s Ivi, p. 27. 9 Freud S., Promemoria sul trattamento elettrico dei nevrotici di guerra, in Opere, IX, Torino, Boringhieri, p. 175. 1° Freud S., Introduzione a Psicoanalisi delle nevrosi di guerra, cit., p. 24. 11 Cfr. Finzi S., La coloritura del disegno e la modifica dell'ipotesi del trauma nell'eziologia delle nevrosi, «Il piccolo Hans» 55, autunno 1987. 12 In Poesia e verità, in J.W. Goethe, Opere, a cura di L. Mazzucchetti, Firenze, Sansoni, 1963. 13 Cfr. Freud S. e Bullitt Wil!iamW., Il caso Th. WoodrowWilson, uno studio psicologico, Milano, Feltrinelli, 1967; Keynes J.M., The economie consequences of the peace, in The Collected Writings of fohn Maynard Keynes, voi. 11, Londra, Macmillan and Co. LTD, 1971. 14 Cfr. Finzi S., e Finzi Ghisi V., Nel disegno del rebus..., cit. 15 Cfr. Frinzi S., La coloritura del disegno..., cit. 16 Freud S., Promemoria sul trattamento elettrico dei nevrotici di guerra, cit., pp. 173-174. 17 Cfr. Lacan J., La psychiatrie anglaise et la guerre, e Le nombre treize et la fanne logique de la suspicion, in J .L., Travaux et Intervention, Alençon, Arep Editions, 1977. Cfr. anche, Finzi S., in Il mistero di Mister Meister cit., il capitolo Go-ne-go: à la guerre comme à la guerre. 18 Freud S., Promemoria sul trattamento elettrico dei nevrotici di guerra,cit., p. 172. 19 Freud S., Una nevrosi demoniaca del secolo XVII, in Opere, IX, cit., p. 557. 2° Cfr. Finzi S., Verso una definizione di «nevrosi di guerra», «Il piccolo Hans» 55, autunno 1987. 30

Trincea, prigionia - "umanità di lingua italiana"· I Censura e macerie Aneddotica di pace (ultimi tempi), «eleganza e leggerezza (nel senso prevalente di levità)» inconfondibilmente viennesi, come ricorda d'averle apprese Gianfranco Contini da conversazioni con amici: il giovane Leo Spitzer, che, il sabato mattina, terminata la passeggiata sul Prater e «lasciato il destriero al palafreniere», si recava in tenuta di cavallerizzo, «tintinnante di speroni», al seminario del grande filologo Wilhelm Meyer-Lubke1 ; Spitzer che fa in tempo a diventare Dozent, ma forse non fa in tempo - è l'anno di vigilia 1913 - a capire quanto poco sarà sopportato dalla comunità accademica del suo paese, anche se già sa che non sarà capace di sostenere, per la carriera, la gara dell'«ostinazione» e della «chiusura mentale»2 . Negli anni della prima guerra mondiale, dal 1915 al 1918, Leo Spitzer diresse, negli uffici di Vienna, un «gruppo di censura» che si occupava di corrispondenza militare in italiano. Anche dopo, a guerra finita, quando parlava di quel suo lavoro, il linguista Spitzer si restituiva, con parole in grigia uniforme, alla ripetitività e ai passaggi gerarchici della macchina militare bùrocratica di cui aveva fatto parte per più di tre anni: «I singoli censori 31

gettavano la corrispondenza, nella quale avevano segnato in rosso i passi contestati [...] in una scatola, dalla quale la prelevava, a fine di revisione, il cosiddetto controllore addetto alla correzione, generalmente un dirigente del gruppo di censura. A me era stato affidato proprio questo compito, come direttore di uno dei gruppi di censura». Spitzer trovava l'istituzione della censura assurda quanto l'idea di una guerra «corretta» con cui la Convenzione dell'Aja l'aveva, con supresa iprocrisia, approvata. Ma, se censura doveva essere, a lui restava da compiere un dovere ripugnante nel migliore dei modi: la scrupolosa sollecitudine che metteva nel decifrare quelle scritture stentate e nel rovistare in mucchi di parole compitate con tanta fatica, aveva ben poco di fiscale. Spitzer si applicava a sbrigare presto e bene il suo lavoro quotidiano con un pensiero «caritatevole e umanitario»: la posta dei soldati e dei loro familiari, che ingombrava i tavoli dell'ufficio, era un immenso viluppo di attese, di «bisogni» individuali: perché fosse inoltrata il più presto possibile, il censore di «ideali pacifici» lavorava con abilità e senza risparmiarsi. Ma in privato Spitzer si trovò a eludere la censura, a smentire il dovere che ogni giorno, in società, adempiva scrupolosamente. In più di un'occasione aveva dovuto raccogliere dalla corrispondenza che leggeva il «materiale» per una relazione da fare alla direzione, o a uno dei tanti comitati, o al ministero della guerra. Una volta fu 'comandata' una relazione propagandistica, da pubblicare in un giornale triestino: il materiale consegnato da Spitzer e da altri censori risultò così poco pertinente e manipolabile, che il ministero non seppe come utilizzarlo; se si leggono gli stralci che nel febbraio del 1919 Spitzer pubblicò nella rivista «Der Friede» sotto il titolo Weisheit der Kriegsgefangenen3 , si può capire l'imbarazzo del ministero della guerra. Intanto Spitzer, per conto proprio, stralciava da lettere 32

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